All’incrocio tra due strade nella periferia sudest di Milano sono comparsi, a settembre 2018, due tavoli da ping-pong, panchine, piante, rastrelliere e cerchi bianchi e gialli dipinti sull’asfalto dai volontari di Retake. Piazza Angilberto, a Corvetto, è stata in parte pedonalizzata. È il secondo esperimento di urbanistica tattica condotto in quindici punti della città attraverso il programma comunale Piazze aperte, nell’ambito del Piano quartieri finanziato con 1,616 miliardi di euro. Per realizzare le cosiddette piazze a pois il comune di Milano ha chiesto assistenza all’organizzazione filantropica dell’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg.
Milano è in ascesa. Dal 2014 la sua economia è cresciuta il doppio rispetto a quella nazionale. Qui ha sede un terzo delle imprese estere presenti in Italia. Sono aumentati i visitatori, con 7,6 milioni di turisti, a cui sono stati destinati 12mila appartamenti pubblicizzati su Airbnb. Con la produzione di eventi legati al settore della moda e del design, del mobile e del cibo, Milano ha costruito un’immagine di successo. È trentesima al mondo per valore di investimenti nel settore immobiliare.
“Milano è attrattiva per i giovani. Il sistema universitario, quello della formazione e il mercato del lavoro sono eccezioni nel panorama nazionale. C’è una forte domanda di case da parte di una popolazione temporanea”, dice Francesca Cognetti, docente di urbanistica al Politecnico di Milano. Prima della pandemia gli studenti rappresentavano il 13 per cento della popolazione; un terzo è fuori sede. “Pagano fino a 700 euro al mese per una stanza. È tanto, ma è un investimento sul futuro”, spiega Cognetti. Durante la pandemia i prezzi hanno smesso di crescere, ma ora gli studenti stanno tornando.
L’area ferroviaria di Bovisa, un tempo polo dell’industria chimica e meccanica, è stata inclusa nella seconda edizione di un bando internazionale, Reinventing cities, per la rigenerazione di aree urbane dismesse. Ha vinto il progetto presentato da una cordata guidata dall’operatore immobiliare Hines: si chiama MoLeCoLa, che sta per mobility, learning, community, lab (mobilità, apprendimento, comunità, laboratorio) e prevede la creazione di due studentati e case destinate a studenti, giovani lavoratori o professionisti, anche per brevi periodi, si legge sul sito del comune. Per il 2023 la CampusX, società di alloggi per studenti, aprirà a Bovisa la più grande residenza universitaria in città.
Sette scali ferroviari dismessi, che formano un semianello intorno alla città, sono i nodi di una vasta operazione di rigenerazione urbana. Nel novembre 2020 l’area dello scalo di Porta Romana, grande più di 25 campi da calcio, è stata venduta per 180 milioni di euro dalle Ferrovie dello Stato al fondo di investimento immobiliare Porta Romana, gestito dalla Coima e partecipato dalla Convivio e dalla Prada Holding. Anche qui ci saranno un parco, residenze, uffici, edilizia sociale, alloggi per studenti e servizi. Nella parte sudovest dell’area, la Coima costruirà un “villaggio atleti” per i Giochi olimpici invernali 2026 che Milano ospiterà insieme a Cortina. Dopo l’evento il villaggio diventerà uno studentato.
Grandi trasformazioni
La Coima è guidata dall’imprenditore Manfredi Catella, ex amministratore delegato della Hines Italia, divisone italiana del gigante statunitense. È suo il progetto di riqualificazione del quartiere Porta Nuova, approvato nel 2004, che ha fatto da apripista alla trasformazione di Milano da città industriale a nodo della finanza globale. “Oggi Porta Nuova è proprietà di un fondo sovrano del Qatar”, spiegano al laboratorio Off Topic, che produce dati per raccontare come cambia la città. Alla fine degli anni novanta l’ingresso nel mercato immobiliare delle Sgr, le società di gestione del risparmio, ha trasformato il mattone in un prodotto finanziario. Il suo valore deriva dalla previsione di un reddito futuro, staccato dall’economia reale, dalla città fisica e dall’effettiva domanda di casa. Questo valore futuro impone però profonde trasformazioni alla città materiale per generarsi. Si espande nelle periferie in cerca di nuovi settori da penetrare: non solo uffici e centri direzionali, alberghi e case di lusso, ma anche case in affitto, edilizia sociale e stanze per studenti.
Il ruolo dell’amministrazione pubblica, sostengono a Off Topic, è cambiato. “Se i piani regolatori erano in teoria guidati dall’interesse pubblico, oggi l’amministrazione si limita ad agevolare interessi privati. I vecchi capitalisti come Ligresti avevano meno disponibilità di capitali e costruivano, rivendevano e guadagnavano sul mattone. Quando quel mattone è diventato un asset finanziario, il divario tra gli interessi di chi possiede la città e di chi la vive è aumentato”.
Nel febbraio 2021 la Atm, l’azienda dei trasporti milanesi, ha lanciato un piano per 600 assunzioni. Le candidature non sono arrivate. Per la fascia di lavoratori essenziali con stipendi medi, Milano è troppo cara. Le case ci sono, molte sono vuote – a Milano quelle sfitte sul mercato privato sarebbero 70mila – ma costano troppo e i salari sono fermi. Un quarto dei milanesi non guadagna più di diecimila euro l’anno.
Il divario tra gli interessi di chi possiede la città e
di chi la vive è aumentato
“Se la città è tornata a crescere è perché la popolazione temporanea si stabilizza. È allora che per i giovani dai 35 anni in su cominciano i problemi”, afferma Mattia Gatti del sindacato inquilini Sicet. Il divario tra canoni e redditi è insopportabile per troppe persone. “La pandemia ha ulteriormente colpito i redditi bassi. Molte persone che a malapena riuscivano a gestire le spese familiari ora sono in difficoltà. Già prima il costo della casa era troppo alto. A distanza di quasi due anni il comune sta ancora erogando il contributo straordinario per l’affitto, ma gli sfratti sono andati avanti”.
I sussidi hanno sostituito la costruzione di case popolari che dal 1993, quando è stato avviato un piano di dismissioni, sono sempre meno. A Milano sono state vendute più di 30mila case popolari. Le 61.772 case restanti sono un patrimonio importante: rappresentano il 20 per cento delle case in affitto e ci abita il 9 per cento dei milanesi. Ma molte sono vuote per via del cattivo stato di manutenzione. Negli ultimi anni il comune ha speso 120 milioni di euro per recuperare e assegnare tremila alloggi, ma 7.200 sono ancora sfitti.
Una buona gestione delle case, secondo Cognetti, potrebbe fare la differenza. Ma c’è un problema di fondo: la duplice natura del patrimonio pubblico. “Si chiede agli enti gestori pubblici di avere un’anima di mercato, di essere gestori immobiliari e applicare al patrimonio logiche di profitto, di sostenibilità dei bilanci. Allo stesso tempo però gli si chiede di essere gestori sociali, una misura di welfare, senza fondi pubblici aggiuntivi. Queste due vocazioni sono inconciliabili”. In Lombardia le risorse per la casa sono passate da 400 milioni di euro nel 2002 a 44 milioni nel 2016.
In Italia il sussidio per l’affitto, istituito con l’abrogazione della legge sull’equo canone, non funziona. I fondi statali sono diminuiti nel corso degli anni e quando ci sono arrivano tardi o non sono erogati. Sul fondo per la morosità incolpevole 88 milioni di euro non sono stati spesi tra il 2014 e il 2018. “Bisogna dimostrare che la morosità è dovuta a un evento particolare, ma spesso questo evento non esiste: basta pochissimo per non riuscire a pagare l’affitto”, spiega Gatti. E i proprietari preferiscono aspettare lo sfratto, riaffittare la casa a un prezzo più alto e pignorare il conto dell’inquilino moroso. Neanche l’affitto a canone concordato, più basso di quello di mercato e che gode di benefici fiscali, attira i proprietari, perché a Milano i valori di mercato sono in ascesa. Per i più poveri non c’è soluzione. Ogni anno si liberano 600 case popolari, ma le famiglie in graduatoria sono più di 13mila. Solo il 20 per cento delle case popolari è riservato a famiglie sotto la soglia di tremila euro di Isee. “Prima c’era la possibilità di ottenere un’assegnazione in emergenza in deroga alla graduatoria. Ora non più”, afferma Gatti.
La rigenerazione esclude
Nel vuoto lasciato dalla fine delle politiche pubbliche è nata l’edilizia sociale, il cosiddetto social housing: un’offerta privata, finanziata in parte dallo stato, a prezzi intermedi tra quelli di mercato e quelli delle case popolari, per la classe media. Ma la maggior parte delle case è in vendita, non in affitto, e sono gli operatori privati a scegliere gli inquilini, in base al reddito, tramite bandi. “Abbiamo visto bandi con limiti di reddito fino a 90mila euro all’anno”, racconta Gatti. La società di consulenza Nomisma ha stimato che su più di seimila alloggi costruiti negli ultimi dieci anni solo duemila sono per l’affitto, e solo 207 a un canone sociale. Secondo la Nomisma non esiste a Milano un’offerta in affitto sostenibile per chi guadagna fino a 1.500 euro al mese.
Il problema, sostiene l’assessore alla casa Pierfrancesco Maran, sono gli stipendi fermi: “Se Milano è una città di successo, dovrebbero aumentare di conseguenza”. Il problema della casa, secondo Maran, è il rovescio della medaglia delle città attrattive. “I canoni salgono per una dinamica di domanda e offerta. Gli strumenti pubblici per invertire questa tendenza sono pochi. Ma qualcosa si sta facendo: sono in costruzione cinquemila posti letto in studentati, a prezzo variabile, per alleviare la pressione dalle case in affitto. Il social housing sta crescendo. Il 40 per cento delle nuove costruzioni è convenzionato, ma ci vuole tempo per la loro realizzazione”.
Quanto ai limiti di reddito per accedere, secondo Maran “si può dire che sono alti, ma in una città che costa seimila euro al metro quadro, chi partecipa a un bando ha la possibilità di non restare schiacciato da un mutuo”. Invece il problema dell’affitto, sostiene l’assessore, dipende dal mercato di seconde e terze case affittate a prezzi alti. Il comune sta investendo nell’ampliamento della metropolitana per “allargare la Milano che funziona e diradare la pressione abitativa”. Il comune ha stanziato 130 milioni di euro per rigenerare tre quartieri. A Giambellino il progetto di rigenerazione prevede la demolizione di tre edifici di case popolari. Il quartiere, nella periferia ovest di Milano, era abitato da lavoratori delle fabbriche. La deindustrializzazione degli anni ottanta e i tagli degli anni novanta lo hanno impoverito.
A posteriori
Veronica Pujia, responsabile del sindacato degli inquilini Sicet della zona di Giambellino, è preoccupata: “Il progetto di riqualificazione del vicino quartiere di Lorenteggio, finanziato con cento milioni di euro, coinvolge undici edifici di edilizia pubblica. Alla fine del 2018, a progetto in corso, sono cambiati i piani: non più ristrutturazione, ma demolizione. Finora sono stati abbattuti sette edifici ed è in corso lo svuotamento degli altri. Ma non tutti gli stabili demoliti saranno ricostruiti: ci sarà una riduzione del patrimonio abitativo pubblico. In compenso ci sarà una piazza, con una nuova fermata della metropolitana. Per quanto riguarda la ricostruzione di alcuni degli edifici, nessun cantiere è ancora partito. Pare che il terreno sia inquinato. Da cosa, quando e come, non lo sappiamo. Non riusciamo ad avere informazioni”.
Alla fine del 2018 sono cambiati i piani: non più ristrutturazione, ma demolizione
Si cita spesso, nei documenti programmatici del comune, la necessità di creare più mix sociale nei quartieri periferici: un’offerta variegata per una molteplicità di residenti, attività e funzioni. L’idea è far entrare la città nei quartieri popolari e attirare investimenti privati a partire dall’intervento sulle case e sulle piazze.
Insieme a un gruppo di studenti, Alessandro Coppola e Carolina Pacchi, urbanisti del Politecnico, hanno analizzato la composizione socioeconomica di una delle aree in più rapida trasformazione di Milano, NoLo, quartiere popolare nel quadrante nordest. Lo studio rivela un processo di ricambio della popolazione, l’allineamento del costo degli affitti alla media cittadina, l’incremento degli affitti turistici, un aumento della proprietà e un numero significativo di aste immobiliari. “Questo lascia supporre che il quartiere sia diventato attrattivo per alcuni gruppi sociali e, al contrario, meno accessibile per altri”, si legge nello studio. Per Coppola “l’azione pubblica dovrebbe proteggere il mix sociale esistente, compensando e condizionando la nuova offerta privata con un incremento di case a prezzi accessibili, proteggendo gli affitti esistenti. Non ha senso creare il mix sociale a posteriori, dopo che l’aumento dei costi ha provocato l’espulsione della fascia sociale più povera”.
Gli sfratti si moltiplicano. “È molto preoccupante, perché non ci sono soluzioni”, dice Gatti. “In teoria le famiglie sfrattate dovrebbero andare in albergo per il primo mese. Ma il comune sta usando gli ostelli”. A una famiglia con due bambini piccoli ha offerto tre posti letto in una camerata con altre persone, nella zona della stazione. “La piccola può dormire con la mamma, hanno detto”.
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