A breve dal Regno Unito potrebbe partire il primo volo di sola andata carico di richiedenti asilo. Destinazione: Kigali, la capitale del Ruanda. Il 22 aprile 2024 il parlamento britannico ha approvato una legge molto discussa secondo cui il Ruanda è un paese sicuro. Così facendo, il governo conservatore di Londra vuole aggirare una sentenza della corte suprema, che aveva dichiarato illegittimi i trasferimenti di migranti nel paese africano per il mancato rispetto dei diritti umani. Il Regno Unito aveva chiesto la collaborazione di vari paesi, come Ghana, Armenia e Honduras. Perché l’intesa è stata raggiunta con il Ruanda?

Secondo Phil Clark, docente della School of oriental and african studies di Londra ed esperto di Ruanda, l’accordo si sposa bene con l’immagine che il governo del Fronte patriottico ruandese (Fpr) vuole trasmettere a livello internazionale. “In politica estera il Ruanda si muove con astuzia. Prende atto dei problemi più pressanti per la comunità internazionale, come l’immigrazione, e poi afferma di avere la soluzione”, spiega Clark.

Il Ruanda ha la reputazione di paese disciplinato, affidabile e poco corrotto. “Il governo dice ai paesi donatori: se ci affidate il vostro denaro, state certi che sarà in buone mani. Ed è vero. Perfino chi critica l’esecutivo non mette in discussione che le donazioni occidentali e umanitarie siano spese in modo efficiente”, afferma Clark.

All’inizio degli anni duemila la leadership dell’Fpr ha osservato con attenzione le politiche dei governi asiatici. Oggi il Ruanda aspira a diventare la “Singapore africana”, un polo economico e tecnologico regionale. “Anche Singapore è un piccolo paese sprovvisto di risorse naturali. Anche il Ruanda è uno stato governato con il pugno di ferro e con dei lati oscuri”, osserva Clark. Negli ultimi anni il paese ha registrato un forte sviluppo economico, ma la sua ricchezza non si avvicina certo a quella della città stato asiatica, i salari sono bassi e il governo incassa milioni di euro di aiuti ogni anno.

Se da un lato la corruzione non è tollerata, dall’altro il regime ha delle tragiche ambiguità. Da decenni l’est della vicina Repubblica Democratica del Congo (Rdc) è una zona di conflitto, e lì il Ruanda sostiene un gruppo armato, l’M23, pur negando ogni coinvolgimento. Ma gli interessi ruandesi sono chiari, dato che il paese trae profitto dall’estrazione e dal contrabbando di minerali preziosi e materie prime, di cui la Rdc è ricca.

Secondo Clark, i governi occidentali si guardano bene dal criticare il presidente Paul Kagame perché hanno interesse a mantenere la presenza militare ruandese all’estero. Le truppe di Kigali sono dispiegate, per esempio, in Mozambico, Benin e nella Repubblica Centrafricana, in missioni in parte sovvenzionate dall’Unione europea e dalla Francia. Così gli europei evitano di mandare i loro soldati. “Le collaborazioni militari ed economiche proteggono Kigali dalle critiche internazionali”, nota Clark.

Coscienze sporche

Infine il genocidio dei tutsi del 1994 pesa ancora sulle coscienze occidentali. Soprattutto in paesi come la Francia e il Belgio, accusati di non aver fatto nulla per fermare i massacri. Il 7 aprile 2024, in occasione del trentennale del genocidio, Kagame ha accusato la “comunità internazionale di aver abbandonato il Ruanda, per disprezzo o per viltà”, ma insistendoci meno che in passato.

Kagame preferisce presentare il Ruanda come un paese in pieno sviluppo e come una meta turistica. Per questo sponsorizza tre grandi squadre di calcio per promuovere la campagna “Visit Rwanda”. Siccome il presidente è tifoso dell’Arsenal, la squadra londinese ha fatto da apripista nel 2018. Ma dopo l’accordo sui richiedenti asilo, nel Regno Unito sono emersi alcuni malumori al riguardo. In ogni caso, secondo Clark le sponsorizzazioni sono una “mossa astuta”. L’afflusso di turisti ripaga i dieci milioni di sterline che Kigali versa ogni anno all’Arsenal per farsi pubblicità sulle magliette. “Tutti gli altri paesi africani sono interessati”, conclude l’esperto, “perché vorrebbero fare lo stesso”. ◆ dt

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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati