Nella galleria dedicata alle sculture greche e romane al piano terra dell’Ashmolean museum di Oxford, la mia città natale, c’è una statua affascinante. Un’aggraziata scultura in marmo bianco risalente al secondo secolo dopo Cristo mostra una figura per metà maschile e per metà femminile. È un oggetto bellissimo che ci dice qualcosa di molto importante sulla storia dell’umanità, perché si tratta di una rappresentazione di Ermafrodito, figlio del dio Ermes e della dea Afrodite: un essere di genere non binario venerato nell’antica Grecia già diversi secoli prima che l’ignoto scultore prendesse in mano martello e scalpello.

Abbiamo la tendenza a credere che il nostro io moderno sia molto diverso da quello dei nostri antenati e che ci siano di continuo nuove idee, filosofie e modi di essere. Uno di questi modi di essere è quello vissuto dalle persone che non s’identificano con la semplice divisione maschio/femmina o che sentono di essere nate nel genere sbagliato. Può essere difficile, soprattutto per chi è cresciuto in un’epoca in cui di queste cose si parlava raramente, comprendere e apprezzare un mondo che a prima vista può apparire alieno. La storia dimostra, però, che l’identificazione non binaria, la fluidità di genere e il transgenderismo esistono da sempre.

Statua in marmo di Ermafrodito Ashmolean museum, Oxford (Ashmolean Museum, University of Oxford)

Lo scrittore e accademico trans queer Kit Heyam, autore del libro Before we were trans: a new history of gender (“Prima che fossimo trans: una nuova storia del genere”, Hachette 2022) afferma: “Il dibattito ruota attorno all’idea che questo sia un fenomeno moderno”. In realtà il nostro modo contemporaneo di pensare al genere come qualcosa di fisso e legato indissolubilmente al corpo apparirebbe del tutto estraneo ai nostri antenati in molti luoghi del mondo.

Non conformità

Almeno seimila anni fa in Mesopotamia (in gran parte dell’attuale Iraq) sorgeva la prima civiltà complessa di cui si abbia notizia. I mesopotamici ci hanno fornito il primo esempio di scrittura cuneiforme e molte delle loro esperienze quotidiane ci sono familiari. Vivevano in città, mandavano i figli a scuola, andavano ogni giorno a lavorare e si divertivano con giochi e musica. Veneravano diverse divinità, la più importante delle quali era Inanna, regina del cielo e dea del sesso, della guerra e della giustizia. Tra le altre cose, Inanna possedeva la capacità di cambiare il genere di una persona. Gli adoratori di Inanna erano noti per la loro fluidità di genere. Come ha scritto la ricercatrice britannica Moudhy Al-Rashid: “L’identità di genere fluida emerge nell’arco di tutta la storia mesopotamica, così come quella dell’assinnu, una parola a volte scritta come una combinazione dei segni cuneiformi che indicavano i termini ‘uomo’ e ‘donna’”.

In India esiste un terzo genere che è documentato da più di 2.500 anni di storia. Nella mitologia indù il principe Rama, una delle incarnazioni del dio Visnù, nasce nella città di Ayodhya. Dopo che la perfida matrigna lo costringe a lasciare il suo regno, i discepoli provano a seguirlo nella foresta. Quando Rama ordina: “Uomini e donne, asciugatevi le lacrime e andate via”, alcune persone rimangono indietro perché non appartengono a nessuno dei due generi, e attendono pazientemente il ritorno del signore. Gli hijra si guadagnano così un posto speciale nell’induismo e svolgono per millenni un ruolo importante nella società indiana. Come emerge da una ricerca della Harvard divinity school, per millenni sono stati trattati con rispetto, fino all’incontro dell’induismo con il colonialismo. Nel 1871 gli inglesi dichiarano formalmente gli hijra criminali da arrestare.

Anche la storia dell’Africa è ricca di esempi di non conformità di genere. La cultura dagaaba, originaria degli attuali Ghana, Burkina Faso e Costa d’Avorio, assegna il genere non in base all’anatomia, ma in base all’“energia”. Per loro, è la “vibrazione” di una persona a definire il suo genere. I dogon del Mali pensano che ognuno nasca con componenti maschili e femminili. I dogon venerano gli spiriti ancestrali, noti come nommo o “maestri”, che sono ermafroditi. Tra gli zulu del Sudafrica, sono gli sciamani transgender chiamati sangoma a rispondere ai bisogni religiosi delle persone. Anche l’Angola può vantare una regina di genere non conforme, Nzingha Mbande (1583-1663), che ha governato i regni di Ndongo e Matamba, nell’Angola settentrionale, ha guidato eserciti, ha sposato diverse donne e ha tenuto un harem di uomini che indossavano abiti femminili.

Il concetto dagaaba di “energia” si ritrova anche nel pensiero di molti popoli nativi americani. Nella cultura dei “due spiriti”, tutto derivava dal mondo degli spiriti e chi mostrava caratteristiche di più di un genere era doppiamente benedetto. Lungi dall’essere stigmatizzate, queste persone erano molto rispettate perché considerate particolarmente dotate. Perfino quei bruti maschilisti dei vichinghi erano consapevoli dell’esistenza delle persone non binarie e in alcuni casi le accettavano.

Tornando all’antica Grecia, dallo scrittore latino Macrobio (che cita lo storico greco Filocoro) sappiamo che durante le feste dedicate alla divinità Ermafrodito, i fedeli uomini e donne si scambiavano i vestiti e assumevano il ruolo del genere opposto. Da qui deriva la parola “ermafrodito”, che oggi usiamo per indicare una pianta o un animale con caratteristiche sia maschili sia femminili. Un po’ prima nella storia greca troviamo la dea madre Cibele, i cui sacerdoti eunuchi maschi (gálloi o galli in latino) indossavano abiti, acconciature, trucco e orecchini tradizionalmente femminili. Anche l’antica Roma può vantare un imperatore transgender: Eliogabalo (circa 204-222 dopo Cristo). Secondo gli storici romani, preferiva usare pronomi femminili e aveva una relazione con un auriga di nome Ierocle, anche se c’è un dibattito in corso sulla veridicità di questi dati.

Tenuto conto della lunga storia della non conformità di genere, in che modo possiamo raggiungere o riscoprire una condizione in cui le persone non binarie o trans siano accettate senza problemi? “Dovremmo spiegare alle bambine e ai bambini” dice Heyam, “che i corpi sono tutti diversi e che non bisognerebbe attribuire specifiche etichette di genere. Invece di dire ‘solo le ragazze sono così’ o ‘solo i ragazzi fanno questo’, potremmo dire che tutti sono diversi”. Inoltre bisognerebbe evitare di farsi prendere dal panico quando si discute di questi argomenti. In un mondo sempre più diviso, riscoprire antichi modi di pensare potrebbe paradossalmente farci fare dei passi in avanti verso un futuro più equo. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1567 di Internazionale, a pagina 131. Compra questo numero | Abbonati