Al di là di un’eccessiva retorica patriottica, il discorso d’insediamento pronunciato da Vladimir Putin il 7 maggio per il suo quinto mandato presidenziale è stato completamente privo di contenuti. Sei anni fa era stato diverso. All’epoca il presidente russo prometteva ancora ai suoi cittadini un “futuro prospero e pacifico, nuova qualità della vita, benessere, sicurezza e salute per tutti”, e una “moderna politica sociale”. Aveva annunciato più libertà per gli imprenditori e gli scienziati e si era perfino spinto a citare i diritti umani.

Questa volta invece ha straparlato di una “profonda comprensione” dei russi per gli “obiettivi storici comuni”, della Russia come civiltà a sé stante di cui va preservata la potenza, di “unità e coesione” nella “completa consacrazione” alla patria, di una “storia millenaria” e di “antenati” che “hanno conquistato vette apparentemente irraggiungibili”.

Questa nuova retorica riflette la trasformazione nella struttura del potere: in passato quello di Putin era un regime autoritario che prometteva una vita migliore ai suoi sudditi; ora invece è una dittatura che non fa più neanche finta di avere a cuore il benessere dei suoi cittadini.

Putin non ha alcun futuro da offrire ai russi. Eppure, mentre lascia che i suoi soldati distruggano l’Ucraina, riesce ancora a raccogliere ampi consensi nella società russa grazie a messaggi che sembrano venire da un cupo passato. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati