La Grecia e i suoi creditori, cioè il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca centrale europea (Bce)e la Commissione europea, da febbraio non riescono a mettersi d’accordo sulle riforme che Atene deve realizzare. I creditori esigono le riforme a garanzia del fatto che il paese si comporterà in modo responsabile e diventerà più affidabile, prima di sbloccare l’ultima parte degli aiuti accordati nel 2012. Il primo ministro greco Alexis Tsipras cerca di evitare altri tagli dolorosi per i suoi cittadini, ma ha bisogno dei prestiti internazionali per non dichiarare l’insolvenza, che per i greci sarebbe anche peggio. La trattativa è delicata e questi sono i nodi da sciogliere.
Pensioni. I creditori chiedono che il sistema pensionistico greco diventi sostenibile e non produca deficit. Perché ciò possa succedere, Atene dovrebbe tagliare ancora l’assegno mensile dei pensionati. L’Fmi e la Commissione europea vorrebbero addirittura che il governo di Tsipras abolisse la Ekas, il bonus che integra le pensioni inferiori ai 700 euro. I negoziatori greci non cedono.
Iva. Il governo greco ha proposto di alzare l’iva introducendo tre aliquote distinte: il 6 per cento su farmaci e libri, l’11 su prodotti alimentari, energia e acqua e il 23 per il tutto resto. Per i creditori non è abbastanza. Vogliono che l’iva sia fissata all’11 per cento su farmaci, cibo e servizi legati al turismo e al 23 per cento per tutto il resto.
Lavoro. I creditori vogliono il mantenimento degli obiettivi scritti nel memorandum firmato con il precedente governo greco. Atene rifiuta ancora di rendere più facili i licenziamenti collettivi e vuole ristabilire i contratti collettivi. Ma Tsipras non ha più insistito su questo punto nell’ultima dichiarazione: un’omissione che ha fatto pensare a un possibile compromesso.
Privatizzazioni. Il governo appena eletto si è sempre dichiarato contrario alle privatizzazioni che erano state avviate dal precedente esecutivo dietro indicazione della trojka. I creditori, in cambio, vogliono che Tsipras continui quanto cominciato dal suo predecessore. Atene ha delineato un possibile compromesso attorno alla privatizzazione di alcuni aeroporti e del porto del Pireo, ma non cede sul fronte dell’energia. L’Fmi, la Bce e Bruxelles pretendono invece che siano privatizzate le aziende che producono e distribuiscono elettricità.
Bilancio. Per avviare una riduzione del ricorso al debito, i creditori chiedono che la Grecia si impegni a chiudere con un saldo positivo il bilancio dello stato. Secondo loro, l’avanzo primario (cioè il saldo tra entrate e uscite prima del pagamento degli interessi sul debito) dovrebbe essere dell’1 per cento nel 2015 e del 2 per cento nel 2016. Nell’accordo siglato dal precedente governo greco con la Troika, l’avanzo primario doveva essere del 3 per cento quest’anno e del 4,5 il prossimo. Ma Atene chiede più clemenza: per limitare i tagli, offre di accontentarsi dello 0,6 per cento per quest’anno e dell’1,5 per cento per il 2016.
Debito. Il debito pubblico greco ha raggiunto il 177 per cento del Pil, circa 320 miliardi di euro. I deputati e i ministri di Syriza, il partito di Tsipras che ha vinto le ultime elezioni, vorrebbero che nel testo dell’accordo si scrivesse nero su bianco che i creditori si impegnano a stralciarne una parte. Una concessione impensabile per l’Fmi. Ma anche in Germania è molto impopolare l’idea di cancellare una parte del debito greco dopo aver speso miliardi (240 dal maggio 2010) per mantenere a galla il paese.
Aiuti. La Grecia ha bisogno urgente di risolvere i dissidi con i creditori per incassare l’ultima parte degli aiuti concordati con il piano del 2011, cioè 7,2 miliardi. Altrimenti non riuscirà a rispettare le scadenze molto ravvicinate: entro il 30 giugno, deve restituire 1,6 miliardi di euro all’Fmi (di cui i primi 300 milioni devono essere versati venerdì 5) e a luglio e agosto deve rimborsare 8 miliardi alla Bce.
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