Via del Casale San Nicola si trova a venti chilometri da Roma, a nord, sulla via Cassia: è un quartiere di villette residenziali immerse nella campagna romana, tra la Storta, l’Olgiata e il lago di Bracciano. I romani ci passano nei weekend d’estate quando si incolonnano in auto per andare ai laghi. Vista dall’alto la zona è un’ordinata distesa di villette, alberi secolari e piscine.
Nelle ultime ore, però, la tranquilla periferia benestante è diventata scenario di violenze razziste. Le ultime di una lunga serie a Roma: dagli attacchi contro un centro per rifugiati e minori a Tor Sapienza nel novembre del 2014, fino ai disordini al centro per migranti all’Infernetto e alla nascita di decine di sedicenti comitati di cittadini, preoccupati del degrado e della presenza di immigrati in molte zone periferiche della città.
Il 17 luglio al Casale San Nicola una quarantina di persone, alcuni residenti della zona, coordinati da militanti del movimento neofascista CasaPound, hanno bloccato l’accesso all’ex scuola Socrate, un edificio in disuso dove avrebbero dovuto essere trasferiti una ventina di richiedenti asilo. Tra i manifestanti c’erano i leader di CasaPound Simone Di Stefano e Andrea Antonini, che hanno rilasciato decine di interviste facendosi portavoce dei residenti.
La decisione del trasferimento dei richiedenti asilo è stata presa dal prefetto di Roma, Franco Gabrielli, che ha dichiarato: “Abbiamo inviato 19 persone che devono soggiornare al Casale San Nicola e c’è un blocco stradale di cittadini che non permette che entrino. Ora sono sui mezzi, ma entreranno nel centro perché rimuoveremo il blocco. Non faremo passi indietro. Sul Casale San Nicola c’era un bando e una commissione che ha ritenuto che questa cooperativa avesse i requisiti. Il carteggio è arrivato ed è corretto. Se c’è gente che non è d’accordo non possiamo farci nulla. Se passasse questo principio sarebbe finita”.
I manifestanti hanno bloccato la strada con auto e con persone sedute su sedie di plastica. La polizia li ha sgomberati, ma un gruppetto di militanti di CasaPound ha indossato caschi e sciarpe per coprirsi il volto e ha attaccato con lancio di sassi e di oggetti la polizia in tenuta antisommossa. Gli agenti hanno caricato il gruppo e hanno sgomberato la strada. Il bilancio finale è di 14 feriti, due arresti e 15 identificazioni, secondo la questura di Roma.
Il pullman scortato dalla polizia, con una ventina di persone a bordo, è avanzato a passo d’uomo verso il centro, mentre volavano insulti e bottiglie. Le persone a bordo del pullman avevano la faccia spaesata e impaurita. Alla fine sono stati fatti entrare nel centro. I residenti e CasaPound avevano diffuso la voce che sarebbero arrivati cento richiedenti asilo e che non si trattava di veri profughi, ma di migranti che vogliono lavorare senza permesso.
“Bisogna vedere se sono profughi, io li ho visti, non c’erano né eritrei né siriani”, ha detto Simone Di Stefano di CasaPound.
In un comunicato, il comitato ha scritto che in una zona abitata da 250 famiglie la presenza di cento migranti “sarebbe insostenibile”. Il prefetto Gabrielli ha ribadito che i migranti trasferiti sono una ventina e che si trovavano in altre sistemazioni temporanee come parrocchie, che non sono idonee all’accoglienza.
“L’Italia è full, e loro che fanno? Vanno a fa’ le prostitute vanno a fa’ i vucumprà. L’Italia è piena, andassero tutti a casa. A noi chi ci accoglie? Non è razzismo né fascismo. Noi la guerra a casa nostra l’abbiamo fatta, non siamo scappati”, dice una signora alterata, capelli rossi e occhiali da sole. “È un’ingiustizia”, fa eco un’altra, “questa è una strada privata a uso pubblico, non possono passare qui se non vogliamo”. Una terza aggiunge: “È assurdo mettere i profughi in questa zona isolata, qui fanno quello che vogliono, non si può controllare quello che fanno”.
Il presidio contro il centro di accoglienza al Casale San Nicola è attivo da più di due mesi. Il 22 maggio CasaPound aveva organizzato una tendopoli all’esterno dell’ex scuola Socrate per chiedere al comune di destinare l’edificio alle famiglie italiane in difficoltà, invece che ai migranti.
L’antefatto della vicenda lo aveva raccontato la trasmissione Piazza pulita, nella puntata I profughi a Roma nord non li vogliamo.
I movimenti dell’estrema destra soffiano sul fuoco dello scontento delle periferie romane, che si sentono abbandonate dall’amministrazione capitolina, travolta dagli scandali di Mafia capitale. Vengono diffuse false voci che si alimentano e s’ingigantiscono. Nel primo striscione del presidio c’era scritta una prima bugia: “No al centro d’accoglienza per rom e profughi”, poi in un secondo tempo la parola rom è stata tolta.
Seconda bugia: i profughi non sono veri profughi, ma migranti economici che vogliono lavorare senza permesso. Terza bugia: i profughi ricevono troppi soldi, troppi servizi. Quarta bugia: verranno trasferite al Casale San Nicola cento persone, un’invasione. La stampa, invece di smentire queste voci false, ha raccontato gli eventi in modo esagerato. “Rivolta antiprofughi”, titolavano ieri molti giornali. Ma un picchetto di cinquanta persone, di cui molti sono militanti politici, non è una rivolta.
Treviso chiama, Roma risponde
I fatti di Roma si sono verificati a poche ore da un altro episodio altrettanto grave, avvenuto in Veneto. Il trasferimento di 101 richiedenti asilo in alcuni appartamenti in disuso a Quinto, nella periferia di Treviso, ha suscitato violente proteste guidate da Forza nuova e Lega nord. Il trasferimento dei migranti era avvenuto per ordine del prefetto il 15 luglio.
I migranti si sono barricati in casa, temendo aggressioni, mentre i residenti hanno organizzato picchetti all’esterno degli edifici e hanno montato tende in segno di protesta. “Non vogliamo vivere in un campo profughi”, hanno detto.
Un operatore delle cooperativa Xenia che si occupa dell’accoglienza dei migranti è stato aggredito il 16 luglio ed è stato impedito agli operatori di distribuire i pasti
Nella notte tra il 15 e il 16 luglio un gruppo di militanti di Forza nuova e della Lega nord e alcuni residenti hanno preso d’assalto gli appartamenti, impossessandosi di mobili, materassi ed elettrodomestici che erano stati stipati in una cantina per essere distribuiti. I militanti hanno portato fuori alcuni mobili e gli hanno dato fuoco.
Un operatore delle cooperativa Xenia che si occupa dell’accoglienza dei migranti è stato aggredito il 16 luglio ed è stato impedito agli operatori di distribuire i pasti. Anche l’assessora Alessandra Tocchetto è stata aggredita ed è dovuta intervenire la polizia per difenderla.
Il prefetto di Treviso ha dichiarato che denuncerà i responsabili dell’aggressione. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha preso le difese dei residenti, ha criticato il governo, che trasferisce i migranti dalla Sicilia e dalle altre regioni meridionali verso il nord d’Italia. “Vogliono africanizzare la regione”, ha detto Zaia. E ancora: “È una dichiarazione di guerra”.
Anche il leader della Lega nord, Matteo Salvini, ha difeso gli aggressori e ha annunciato che andrà in visita a Quinto. Ieri la prefettura di Treviso ha deciso di spostare i profughi in una ex caserma. I sindaci di Treviso, Giovanni Manildo, e di Casier, Miriam Giuriati, hanno annunciato la decisione in un comunicato, prendendo le distanze: “La caserma è un bene di proprietà del ministero della difesa sul quale i due comuni territorialmente interessati non hanno alcuna competenza”.
Intanto a Treviso la polizia ha sgomberato alcuni manifestanti che avevano occupato la prefettura per esprimere solidarietà ai migranti attaccati a Quinto. La polizia ha fermato 40 persone. I manifestanti in un comunicato hanno detto: “A Quinto di Treviso hanno permesso a Forza nuova e alla Lega nord di Luca Zaia di attuare delle azioni disumane, come la sottrazione del cibo e dei beni di prima necessità a chi scappa da guerre e dalle violenze”.
“Negli ultimi anni si è sdoganato un linguaggio, un discorso politico razzista che non è mai stato censurato. È entrato a far parte della cultura collettiva, e nessuno lo ha bloccato”, ha commentato Carlotta Sami dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) in un’intervista. “Da un lato, sono state diffuse informazioni false. Ad esempio, su ciò che viene fornito ai rifugiati (case, palazzi, pasti). L’intenzione era di farli passare come privilegi – e stiamo parlando di case che, almeno per Treviso, non avevano nemmeno la luce. I pasti, sì, sono forniti (uno al giorno) ed è il protocollo. Ma non sono privilegi, questi. Direi proprio di no”.
Esponenti politici della destra in parlamento sfruttano la vicenda per costruire un consenso politico a fini elettorali
Le vicende di Roma e Treviso ripropongono un copione simile a quello dei fatti di Tor Sapienza, a Roma, avvenuti nel novembre del 2014. Si spargono delle voci contro un centro di accoglienza per rifugiati, si diffondono leggende razziste sul conto dei migranti (ricevono un sacco di soldi, non lavorano, rubano, stuprano le ragazze, portano degrado e insicurezza) si fomenta lo scontento e la rabbia della popolazione fino ad arrivare a gesti eclatanti che richiamano l’attenzione della stampa nazionale e delle telecamere.
A quel punto esponenti politici della destra parlamentare sfruttano la vicenda per costruire un consenso politico a fini elettorali. Si pensi alle posizioni di queste ore del governatore del Veneto, Luca Zaia, del governatore della Lombardia, Roberto Maroni, e del governatore della Liguria, Giovanni Toti, che invece che trovare soluzioni e prendere le distanze soffiano sul fuoco dell’odio razzista. I tre presidenti di regione hanno approfittato della vicenda per attaccare il ministero dell’interno, impegnato a ridistribuire i richiedenti asilo nelle diverse regioni italiane per evitare che le regioni del sud Italia diventino sovraffollate.
Il Veneto è una delle regioni d’Italia che ospitano meno richiedenti asilo, con il 4 per cento. In totale i profughi in Italia sono circa 80mila, su una popolazione di circa 60 milioni di persone. Una cifra irrisoria se confrontata al numero di profughi ospitati da paesi extraeuropei come Giordania, Libano o Turchia.
Intanto ieri le autorità italiane non hanno dato l’autorizzazione alla nave Bourbon Argos di Medici senza frontiere (Msf) con a bordo 700 persone soccorse al largo della Libia, di attraccare nei porti italiani perché il sistema dell’accoglienza è al collasso. “La mancanza di preparazione del sistema di accoglienza italiano sta avendo conseguenze molto concrete che stiamo sperimentando in prima persona”, dichiara Loris de Filippi, presidente di Msf Italia. “Basta un minimo problema logistico per far collassare il sistema”.
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