Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg alla riunione straordinaria del Consiglio atlantico di Bruxelles, il 28 luglio. (François Lenoir, Reuters/Contrasto)

La Turchia “non ha richiesto alcuna presenza militare aggiuntiva” nel corso della riunione straordinaria della Nato, convocata oggi su richiesta di Ankara. Lo ha sottolineato il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg al termine dei lavori. Stoltenberg ha assicurato che la Nato non è coinvolta nel piano per creare una zona cuscinetto “liberata” dal gruppo Stato islamico, al confine settentrionale con la Siria, di cui hanno scritto i principali quotidiani statunitensi alla vigilia della riunione di Bruxelles.

Si tratta di un’iniziativa bilaterale tra Turchia e Stati Uniti, che hanno concordato un piano d’azione contro i jihadisti per la creazione di una fascia protetta tra i territori a ovest del fiume Eufrate fino alla provincia di Aleppo in Siria. L’intesa dovrebbe aumentare la portata e il ritmo dei raid aerei statunitensi oltre a garantire una zona protetta per l’accoglienza dei circa due milioni di profughi siriani che sono già entrati in Turchia, ha indicato il Washington Post.

All’area cuscinetto non sarà associata formalmente una no fly zone, da tempo richiesta da Ankara, anche se nei fatti la situazione che si verrà a creare sarà molto simile. Per la creazione ufficiale di una zona di interdizione al volo, che impedisse il passaggio aereo dei caccia siriani, sarebbe infatti necessaria l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, con il rischio di incontrare il veto dei russi e dei cinesi.

Per ora, al termine della riunione del Consiglio atlantico, i ventotto paesi della Nato hanno espresso il loro sostegno politico all’iniziativa militare intrapresa dai turchi affermando in una dichiarazione comune la loro piena solidarietà ad Ankara contro il terrorismo “in tutte le sue forme”, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha detto che “continuerà le operazioni militari contro lo Stato islamico e il Pkk”, perché il processo di pace con il Partito dei lavoratori del Kurdistan non può andare avanti se proseguiranno “gli attacchi all’unità nazionale” della Turchia.

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