I lavoratori dell’Ikea sono di nuovo in sciopero dall’inizio di agosto in diversi punti vendita in tutto il paese. I negozi non sono chiusi, ma il personale non c’è. Picchetti all’esterno dei punti vendita invitano i clienti a non entrare per solidarietà con i lavoratori. I dipendenti dell’Ikea chiedono all’azienda che sia rinnovato il contratto integrativo aziendale, che garantiva una serie di benefici ai dipendenti dell’Ikea rispetto al contratto nazionale del commercio.

Lo sciopero dura da sette giorni e coinvolge, ognuno con orari e modalità di protesta diversi, tutti i punti vendita italiani.

Filippo Faiola, del sindacato di base Flaica, spiega: “L’Ikea si è costruita questa immagine di azienda diversa, dagli standard nordeuropei, ma è una multinazionale come tutte le altre. Vogliono abbassarci il domenicale dal 70 per cento al 40 per cento e le altre festività dal 130 per cento al 70 per cento. E poi ridurre l’integrativo di altri 60-70 euro al mese. Per un dipendente che prende 1.300 euro al mese, significa rimetterci almeno duecento euro, circa il 20 per cento. Se uno poi considera che qui dentro la maggior parte dei dipendenti ha un contratto part time, i conti sono presto fatti”.

Davanti all’ingresso principale del negozio di Anagnina era esposto uno striscione con la scritta “Settimo giorno di sciopero” e altri che recitano “Lavoratori italiani, mobili svedesi, stipendi cinesi” e “Offerta speciale, sconto del 20 per cento su tutti i dipendenti Ikea”.

La trattativa tra sindacati e azienda va avanti da tempo, ma nelle ultime settimane è in stallo. Nell’ultimo comunicato, che risale al 5 agosto, l’azienda si dice disposta a riaprire il dialogo solo se i dipendenti accetteranno un “innovativo sistema di gestione dei turni, che offre la possibilità ai collaboratori di partecipare alla scelta dei propri orari di lavoro, con l’obiettivo di raggiungere una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro”.

L’Ikea chiede poi di rendere “variabile” una parte della retribuzione e di vincolarla “a obiettivi di tipo economico”. E poi c’è il capitolo maggiorazioni festività: l’azienda non solo vuole ridurle, ma vuole introdurre anche un meccanismo di progressività. Le domeniche sarebbero pagate “dal 40 per cento al 70 per cento in relazione al numero” di quelle lavorate. “In pratica la prima domenica ti viene pagata il 40 per cento, la quarantesima domenica il 70 per cento”, spiega Faiola. Analogo il trattamento per le altre festività, le cui maggiorazioni andrebbero da un minimo di 50 per cento a un massimo di 70 per cento.

“Capirei la necessità di tagli se l’azienda fosse in crisi”, afferma il sindacalista. “Ma continua ad essere in attivo”. L’azienda non è d’accordo con il sindacato e sostiene che il momento sia particolarmente difficile.

“Nonostante negli ultimi tre anni le perdite di bilancio dovute alla crisi abbiano prodotto un disavanzo complessivo di oltre 53 milioni di euro, l’Ikea ha dato prova di gestire con responsabilità questa congiuntura attraverso una forte spending review interna e senza arrivare né a chiudere punti vendita, né a tagliare la forza lavoro, come invece è purtroppo capitato ad altre realtà del settore”, scrive in un comunicato.

A livello globale, però, le cose sembrano andare piuttosto bene: negli ultimi dodici anni, tra il 2003 e il 2014, i ricavi non hanno conosciuto battute d’arresto e sono andati costantemente crescendo, col 2014 che ha chiuso a quota 29,3 miliardi, contro i 28,5 dell’anno prima. Il report annuale dell’azienda, reperibile sul suo sito, parla di “performance positiva nell’anno finanziario 2014”, che per Ikea va dal primo settembre 2013 alla stessa data del 2014, “che è risultato in un profitto netto di 3,3 miliardi di euro, il che ha contribuito alla nostra forte posizione finanziaria e alla capacità di sviluppare ulteriormente il nostro business e la nostra offerta ai clienti”.

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