A maggio la Commissione europea ha proposto di sviluppare un sistema di prima accoglienza per i migranti irregolari nei “punti caldi” (hotspot) in cui si registra il maggior numero di arrivi sul suolo dell’Unione (principalmente in Italia e in Grecia) per identificare e registrare migranti e profughi e permettere loro di entrare nel programma di ricollocamento all’interno del territorio europeo con il sistema delle quote. A questo scopo sono state selezionate alcune strutture già esistenti e attive, tra cui il centro di identificazione di Lampedusa. Il 23 settembre il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha comunicato al vertice dei capi di stato e di governo l’inizio delle operazioni per attivare gli hotspot.
Dal 21 settembre il centro di identificazione di Lampedusa è attivo come hotspot in via sperimentale. Mario Morcone, capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’interno, lo ha confermato a Internazionale e ha aggiunto che gli altri centri designati per diventare hotspot saranno attivati da novembre. A quel punto potrà essere avviato il programma europeo di ricollocamento dei migranti: quelli che accetteranno di essere identificati e faranno richiesta d’asilo saranno trasferiti dagli hotspot nei centri di accoglienza e poi indirizzati verso il paese pronto a dare loro asilo.
Il ministro dell’interno italiano Angelino Alfano ha riferito alla camera che il ricollocamento riguarderà i richiedenti asilo arrivati in Italia tra il 16 settembre 2015 e il 7 settembre 2017, cioè nel periodo di due anni indicato dal Consiglio europeo. Potrà però riguardare anche quelli arrivati in Italia dal 15 agosto di quest’anno a condizione che abbiano fatto domanda per il riconoscimento della protezione internazionale.
Cosa succede esattamente a Lampedusa. In realtà sull’isola siciliana quasi nulla è cambiato nelle procedure usate per registrare i migranti: sono identificati grazie al fotosegnalamento e alla rilevazione delle impronte, e sono sottoposti a un controllo sanitario, come succedeva in precedenza. Tutto questo entro quarantotto ore dall’arrivo. Queste operazioni sono ancora svolte da personale italiano, con la differenza che ora sono controllate da funzionari dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) e dell’Europol presenti sul posto, che però non hanno autorità di intervento.
Secondo l’ufficio stampa di Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa, il modello di accoglienza usato sull’isola sarà esportato negli altri centri italiani e greci. Anche per questo i funzionari europei supervisionano le procedure delle forze dell’ordine italiane.
Il contributo dell’Onu. L’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) fornisce supporto ai funzionari Easo nel dare le informazioni legali ai migranti in arrivo. Il personale dell’Unhcr è presente a Lampedusa già dal 2006 e con l’attuazione delle nuove regole l’agenzia lavorerà anche negli altri hotspot e nei centri di accoglienza dove i richiedenti asilo saranno ospitati in attesa di ricevere una risposta alla loro domanda. Si tratterà di personale con formazione giuridica, che spieghi ai migranti il funzionamento del piano di ricollocamento nei paesi dell’Unione europea oltre ai loro diritti e ai loro obblighi di richiedenti asilo.
Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr per l’Italia, ha detto a Internazionale che il programma di ricollocamento è “un primo passo positivo” per risolvere la crisi attuale. Tuttavia, per Sami è fondamentale che le informazioni siano fornite in modo chiaro ai migranti, grazie al lavoro di mediatori culturali e a materiale stampato in varie lingue, affinché le nuove misure abbiano successo. Inoltre, è necessario che le condizioni di prima accoglienza siano appropriate in modo da incentivare le persone ad aderire al programma di ricollocamento.
Registrare tutti i migranti potrebbe essere complicato. Le forze dell’ordine italiane potrebbero non avere gli strumenti sufficienti per gestire la situazione, come ha dichiarato al quotidiano la Repubblica il prefetto di Trapani Leopoldo Falco. Secondo Falco, la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia, rifiuta di farsi identificare perché vuole raggiungere altri paesi dell’Unione e le autorità italiane non possono fare altro che lasciarli andare dopo quarantott’ore dall’arrivo, perché questo prevede la legge. Inoltre non ci sono abbastanza strumenti per la detenzione e la conseguente espulsione di chi rifiuta di farsi registrare. Il processo d’identificazione, per Falco, è molto lungo, “in un’ora si riescono a registrare sei o sette persone”, anche per questo gestire la registrazione di centinaia di persone arrivate sul territorio italiano non sarà un processo semplice.
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