Sono morti nella loro terra di origine dopo essere stati espulsi dal governo statunitense per immigrazione irregolare. Si tratta di decine di cittadini di El Salvador, Honduras e Guatemala, che una volta rimpatriati in seguito alla stretta sull’immigrazione dell’amministrazione di Barack Obama sono stati uccisi nel giro di pochi mesi o addirittura di giorni. Lo rivela The Guardian, che ha documentato la vicenda di tre casi di cittadini honduregni uccisi nelle loro città di provenienza subito dopo il ritorno forzato. Secondo il quotidiano britannico uno studio accademico in via di pubblicazione basato sulle notizie dei giornali locali ha identificato almeno 83 deportati dagli Stati Uniti che sono stati uccisi al loro rientrìo in patria: 45 casi in El Salvador, tre in Guatemala e 35 in Honduras.
“Questi dati dimostrano che gli Stati Uniti stanno deportando la gente verso la morte in violazione delle leggi nazionali e internazinali. La maggior parte delle vittime viveva nelle città più violente dei paesi più violenti del mondo, il che spiega anche in parte perché se ne fossero andati”, ha spiegato Elizabeth Kennedy, professore di Scienze sociali presso l’Università di San Diego, che ha realizzato lo studio.
Nei casi documentati, figurano anche due honduregni scappati dal loro paese dopo che i loro fratelli erano stati attaccati dai membri di una gang, uno di essi era rimasto ucciso.
José Marvin Martínez, di 16 anni, era stato arrestato nel maggio del 2013 in Texas dove lavorava come domestico in nero. Deportato in Honduras nell’agosto di quell’anno, a dicembre è stato assassinato a colpi di arma da fuoco nella città di San Manuel dove viveva. Ángel Díaz, 26 anni, era stato mandato negli Stati Uniti dal padre dopo che il fratello era stato rapito da una banda e picchiato quasi a morte. La polizia lo ha arrestato perché senza permesso di soggiorno lo scorso aprile e a luglio lo ha riaccompagnato in Honduras, dove è stato ucciso nel giro di pochi giorni.
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