Julia Wise è un’assistente sociale e suo marito Jeff Kaufman è un ingegnere informatico. Nel 2013 il loro reddito complessivo era di poco inferiore ai 245mila dollari, e quindi il loro nucleo familiare faceva parte del 10 per cento più benestante degli Stati Uniti. Eppure, se si escludono le tasse e i risparmi, i due hanno vissuto con appena 15.280 dollari: il 6,25 per cento dei loro guadagni.
Cosa è successo al resto del loro stipendio, pari a quasi centomila dollari? Lo hanno devoluto in beneficenza.
Questa somma corrisponde al 40 per cento del loro reddito lordo, e non è la prima volta che Wise e Kaufman fanno beneficenza: dal 2008 donano tutti gli anni una percentuale simile del loro reddito.
Quella di Jeff e Julia è una delle storie contenute nel nuovo libro di Larissa MacFarquhar Strangers drowning, in cui l’autrice presenta esempi di “estrema virtù”. Chi sente parlare delle loro scelte potrebbe credere che siano piuttosto tristi, e potrebbe perfino pensare che la loro storia serva a metterci in guardia da un’abnegazione eccessiva. In realtà, non è affatto così.
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di poter contare Jeff e Julia tra i miei amici e non penso di aver mai conosciuto una coppia più stabile, felice e, be’, perfettamente normale. I due dimostrano che si può vivere una vita normalissima, piacevole e completa e allo stesso tempo fare dell’altruismo una parte centrale della propria identità.
Sembrerà incredibile nella nostra cultura consumistica, ma livelli di altruismo “elevati” come il loro arricchiscono la vita, rendendoci più felici di quanto non saremmo se spendessimo quella stessa cifra per noi stessi. Diamo un’occhiata ai dati concreti.
Il reddito è sopravvalutato
Sappiamo che il denaro non compra la felicità. Ma il detto è diventato un luogo comune e ci ha fatto dimenticare il suo significato originale. Lasciamo da parte per un momento la questione delle donazioni e consideriamo gli effetti di un reddito basso.
Alcuni psicologi hanno svolto ricerche sul collegamento tra il denaro e la felicità e hanno osservato che per chi vive nei paesi ricchi, superata una certa soglia l’aumento del reddito non migliora granché il benessere.
Troppo spesso non ci rendiamo conto di quanto siamo bravi ad adattarci a nuove situazioni
In media, gli statunitensi con un reddito di 32mila dollari attribuiscono alla soddisfazione per la loro vita un valore di sette su dieci. Un reddito di 64mila dollari fa salire la valutazione a 7,5: una differenza minima se confrontata con l’aumento (relativamente) consistente della somma.
Tuttavia, sopravvalutiamo continuamente gli effetti che il reddito produce sul nostro livello di felicità. Uno studio ha rivelato che un campione rappresentativo di cittadini statunitensi “sottovaluta enormemente la felicità di chi appartiene a un nucleo familiare con un reddito basso (55mila dollari o meno)”.
In realtà, questo pregiudizio non si ferma al reddito: spesso sopravvalutiamo la misura in cui i fatti positivi accentuano la nostra felicità e quelli negativi la riducono.
I motivi sono due. Per cominciare, quando pensiamo a un cambiamento della nostra situazione (come la perdita di un reddito) diamo troppo poco peso a cose che resteranno costanti in quel periodo (come la presenza di amici e parenti) e che attutiranno il colpo.
In secondo luogo, troppo spesso non ci rendiamo conto di quanto siamo bravi ad adattarci a nuove situazioni, come un cambiamento del reddito e della nostra qualità della vita. Anche se tra chi vince a una lotteria si osserva un’aumento del livello di felicità subito dopo la vincita, un anno dopo il grado di soddisfazione di queste persone è paragonabile allo stato in cui si trovavano in precedenza.
Avendo compreso questo dato di fatto, diventa ragionevole concludere che rinunciando anche a una grossa parte dei propri guadagni si produrrebbe solo un impatto limitato sul proprio livello di felicità a lungo termine.
Ma come vedremo, cedere una parte del proprio reddito è diverso dal dover fare a meno del reddito in generale. La questione non è solo che un’eventualità del genere non implica la perdita di status spesso associata a una riduzione dello stipendio, ma anche che donare denaro per una buona causa ci fa stare meglio.
Donare ci fa stare bene
Aiutare gli altri ci “scalda il cuore”. Un esperimento ha dimostrato che i centri di ricompensa del cervello si attivavano ogni volta che una somma di denaro veniva trasferita dai partecipanti a un banco alimentare locale, e che questo accadeva perfino quando i bonifici avvenivano in automatico.
L’aspetto forse più sorprendente è che le donazioni possono farci star meglio del denaro speso per noi stessi. In un altro esperimento, a ogni partecipante è stata consegnata una busta contenente una piccola somma di denaro che bisognava spendere entro ventiquattr’ore.
La beneficenza può dare un senso di felicità simile a quello causato da un raddoppio del reddito familiare
Alla metà dei soggetti studiati è stato chiesto di spendere i soldi per se stessi (per esempio pagando una bolletta o comprando qualcosa che desideravano), mentre all’altra metà è stato chiesto di spenderli per altri (per esempio comprando un regalo o devolvendoli in beneficenza). I risultati sono stati chiari: i soggetti del secondo gruppo hanno riferito un livello di felicità superiore a quelli del primo.
Un vasto studio di portata internazionale ha individuato un collegamento positivo tra la beneficenza e il benessere soggettivo, perfino tenendo conto del reddito familiare. La conclusione stupefacente è stata che, in media, “La beneficenza può dare un senso di felicità simile a quello causato da un raddoppio del reddito familiare”.
Donare sul serio
Da tutto questo si può dedurre che, lungi dall’essere un notevole sacrificio, donare per il bene altrui potrebbe essere un modo efficace di migliorare la nostra qualità di vita.
Non bisogna devolvere il 40 per cento come Julia e Jeff, ma io consiglio a tutti di donare una quota consistente del loro reddito. Chi entra a far parte di Giving what we can, una comunità che ho contribuito a fondare, si impegna a donare almeno il 10 per cento dei propri guadagni a enti di beneficenza efficaci.
Oggi l’associazione conta più di 1.200 membri e il numero è in aumento. E se siete ancora preoccupati riguardo ai problemi di breve periodo di una riduzione delle vostre spese, provate a impegnarvi a donare il 50 per cento dell’incremento ogni volta che il vostro reddito aumenterà. Così non vi abituerete mai allo stipendio più alto e non ne sentirete mai davvero la mancanza.
Donando denaro agli enti di beneficenza più efficaci del pianeta, il vostro contributo può incidere in maniera incredibile sulla vita dei poveri e degli svantaggiati. Se è possibile farlo e diventare più felici allo stesso tempo, perché rinunciarci?
(Traduzione di Floriana Pagano)
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Quartz. Clicca qui per vedere l’originale. © 2015. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency
This article was originally published in Quartz. Click here to view the original. © 2015. All rights reserved. Distributed by Tribune Content Agency
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it