Cos’è la Cop21?
È la ventunesima Conferenza delle parti (in inglese, Conference of the parties, Cop) nell’ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Si terrà a Le Bourget, nei pressi di Parigi, dal 30 novembre all’11 dicembre del 2015.
La convenzione delle Nazioni Unite è il principale trattato internazionale sul clima: riconosce l’esistenza di un cambiamento climatico causato dall’attività umana e attribuisce ai paesi industrializzati la responsabilità principale nella lotta contro questo fenomeno. È stata adottata nel corso del Summit della Terra che si è tenuto a Rio de Janeiro nel 1992, ed è entrata in vigore nel 1994. È stata ratificata da 195 stati (a cui va aggiunta l’Unione europea), che rappresentano le parti aderenti alla convenzione.
La Conferenza delle parti si tiene ogni anno nell’ambito di un vertice mondiale durante il quale sono adottate le misure per rispettare gli obiettivi della lotta ai cambiamenti climatici. Le decisioni possono essere prese solo all’unanimità, o per consenso. Alla conferenza di Parigi sono attesi più di quarantamila partecipanti tra delegazioni dei 195 stati membri, rappresentanti della società civile – aziende, ong, istituzioni scientifiche, comunità territoriali, popoli autoctoni, sindacati – e mezzi d’informazione di tutto il mondo. Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, che hanno causato 130 morti, per motivi di sicurezza il governo francese ha cancellato le due grandi manifestazioni che si sarebbero dovute tenere il 29 novembre e il 12 dicembre. In centinaia di città in tutto il mondo sono previsti cortei e marce nei giorni della conferenza.
L’obiettivo della Cop21 è concludere il primo accordo universale e vincolante, applicabile a partire dal 2020 ai 195 paesi della convenzione
La conferenza rappresenta la fine di un ciclo di negoziati e si inserisce nel quadro del prolungamento della grande Cop del 1997, sfociata nell’adozione del protocollo di Kyoto. Il protocollo aveva stabilito di ridurre le emissioni di sei gas a effetto serra di almeno il 5 per cento rispetto ai livelli del 1990, tra il 2008 e il 2012. Alcuni firmatari hanno rispettato gli impegni presi (tra cui l’Unione europea), ma altri grandi inquinatori no: gli Stati Uniti non hanno mai ratificato il trattato, Canada e Russia si sono ritirati, e la Cina, in cima alla lista mondiale per il volume di emissioni di gas serra, non aveva obblighi perché è considerata un paese in via di sviluppo. Il protocollo di Kyoto, ormai superato, scadrà nel 2020 e dovrebbe essere sostituito da un nuovo testo, al centro della Cop21.
Quali sono gli obiettivi?
L’obiettivo della Cop21 è concludere il primo accordo universale e vincolante, applicabile a partire dal 2020 ai 195 paesi della convenzione, per limitare l’aumento delle temperature a due gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale. Secondo le stime del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), la temperatura media della superficie della Terra e degli oceani è aumentata di 0,85 gradi tra il 1880 e il 2012, e a causa dell’aumento delle emissioni dovrebbe crescere ancora tra gli 0,3 e i 4,8 gradi entro il 2100. L’accordo di Parigi ha in primo luogo l’obiettivo di arrivare a una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Secondo l’Ipcc, per avere un riscaldamento non superiore ai due gradi, bisognerà raggiungere la neutralità carbonica al massimo entro la fine del secolo. Inoltre è necessario che la quantità accumulata di emissioni di CO2 d’origine umana non superi le 800 gigatonnellate di carbonio. Dal 1870 gli uomini hanno già rilasciato 531 gigatonnellate di carbonio nell’atmosfera.
Seconda questione chiave: l’accordo di Parigi dovrà determinare il modo in cui la reazione al cambiamento climatico sarà finanziata. Alla conferenza di Copenaghen del 2009 i paesi sviluppati si sono impegnati a investire cento miliardi di dollari, provenienti da fondi pubblici e privati, per consentire ai paesi in via di sviluppo di lottare contro i rischi legati al clima e di impegnarsi a favore di uno sviluppo sostenibile. Una parte di questi soldi devono arrivare dal Fondo verde per il clima, un meccanismo finanziario creato dall’Onu. Ma a giugno del 2015 solo 4 miliardi di dollari dei 10,2 promessi da una trentina di paesi per finanziare questo fondo erano stati sbloccati.
Quali sono gli ostacoli?
I principali punti di frizione riguardano la responsabilità storica del riscaldamento globale e la ripartizione degli obblighi. I paesi emergenti sostengono che la responsabilità sia soprattutto dei paesi industrializzati e si rifiutano di subire le stesse limitazioni. Da parte loro i paesi più ricchi sostengono che la divisione tra paesi industrializzati ed emergenti non è più valida. Oggi la Cina è il primo inquinatore del mondo, l’India il terzo. La posta in gioco dei negoziati è dunque limitare le emissioni di gas a effetto serra senza limitare il diritto allo sviluppo dei paesi emergenti. Un altro argomento delicato è la scelta dei meccanismi che consentono di verificare gli impegni degli stati in materia di lotta contro il riscaldamento globale. Come misurare gli sforzi compiuti? Quale ciclo immaginare per poter inquadrare l’accordo nel lungo periodo?
In ogni caso, il vertice sarà importante per consentire ai governi di coordinare le loro politiche sulle emissioni
Per concludere un buon accordo i negoziatori dell’Unfccc dovranno convincere gli stati più reticenti, come l’Australia. Dovranno inoltre tenere conto delle richieste degli stati insulari, più vulnerabili ai rischi climatici, che contestano la soglia dei due gradi centigradi e propongono di abbassarla a 1,5 gradi. Infine ci sono gli Stati Uniti, che non vogliono un trattato vincolante dal punto di vista giuridico. La posizione del presidente Barack Obama (del Partito democratico) è dovuta al fatto che per approvare un accordo vincolante avrebbe bisogno del voto favorevole del senato statunitense, che è a maggioranza repubblicana.
Ci sarà un accordo?
Al vertice del 2009 a Copenaghen i negoziatori si erano trovati davanti una bozza già preparata da approvare. La procedura fu un fallimento, così in vista della conferenza di Parigi sono stati dati ai singoli stati nove mesi, scaduti il 30 ottobre, per presentare il loro impegno per la riduzione delle emissioni dei gas serra, definito “contributo previsto determinato al livello nazionale”. Ma l’analisi dei contributi noti finora ha rivelato che non saranno sufficienti per raggiungere l’obiettivo dei due gradi. “I contributi hanno la capacità di limitare l’aumento previsto delle temperature a circa 2,7 gradi entro il 2100. Non è assolutamente sufficiente, ma molto al di sotto dei quattro o cinque gradi previsti da alcuni”, ha detto a fine ottobre Christiana Figueres, segretaria esecutiva della Unfccc.
Secondo un’altra stima pubblicata il 6 novembre dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), gli impegni degli stati si tradurranno in un aumento delle temperature di 3-3,5 gradi entro il 2100. Di fronte a questa situazione c’è chi propone un accordo rivedibile a intervalli regolari con la possibilità di ritoccare al rialzo gli obiettivi. In ogni caso, il vertice sarà importante per consentire ai governi di coordinare le loro politiche sulle emissioni, aiutando al tempo stesso i paesi ad adattarsi ai grandi cambiamenti climatici che ci attendono. E per convincere gli investitori privati.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2015 a pagina 54 di Internazionale, con il titolo “Tutte le domande sulla conferenza di Parigi”. Compra questo numero| Abbonati.
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