Il 6 dicembre il sito d’informazione Libya Herald ha dato notizia di un accordo tra le due principali fazioni libiche, quelle che fanno capo ai parlamenti di Tripoli e Tobruk. Il vice presidente del Congresso nazionale generale di Tripoli (il parlamento nato dalle ceneri della vecchia assise), Awad Abdul Saddeq, ha firmato con il deputato Ibrahim Amash, rappresentante del parlamento di Tobruk (riconosciuto dalla comunità internazionale) un documento d’intesa per la costituzione di un governo di unità nazionale. L’accordo prevede la creazione di un comitato di dieci persone che entro due settimane dovrebbero scegliere il premier e due vice.

L’accordo senza l’Onu. L’iniziativa si sarebbe svolta senza la mediazione delle Nazioni Unite, che da quasi un anno cercano di raggiungere un accordo politico condiviso e sono rappresentate dal tedesco Martin Kobler, che ha da poco sostituito lo spagnolo Bernardino León. “Noi vorremmo creare il nostro governo in modo autonomo, senza interferenze esterne”, hanno spiegato i sostenitori dell’iniziativa. Ma diversi osservatori hanno fatto notare che i firmatari non sembrano godere di legittimità o autorità sulle milizie armate.

Un’intesa che non coinvolga la comunità internazionale né le potenze regionali – Turchia e Qatar sostengono il vecchio parlamento, mentre Egitto ed Emirati Arabi Uniti appoggiano le istituzioni di Tobruk – sembra comunque destinata al fallimento. Il ruolo delle Nazioni Unite nella transizione politica è stato d’altronde messo in discussione dopo la fine dell’esperienza di León, accusato di avere favorito per interessi personali la fazione di Tobruk con l’aiuto degli Emirati Arabi Uniti.

La conferenza di Roma. Per dare nuovo slancio ai negoziati, il 13 dicembre l’Italia ospiterà alla Farnesina una conferenza internazionale sulla Libia. Fortemente voluta dagli Stati Uniti, la riunione è stata concepita sul modello di quelle che si sono tenute negli ultimi mesi a Vienna per risolvere la crisi siriana. L’obiettivo è gettare le basi di un futuro accordo per un governo di unità nazionale con sede a Tripoli.

Alla conferenza, promossa dal ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni e dal segretario di stato statunitense John Kerry, parteciperanno i ministri degli esteri dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) e quelli dei paesi coinvolti, come Egitto, Turchia ed Emirati Arabi. Non è prevista la presenza di delegati libici.

“L’ostruzionismo di pochi non può trascinare la situazione troppo a lungo, altrimenti la crisi nel paese precipiterà sotto molti punti di vista e le minacce alla sicurezza rischiano di peggiorare, a partire da Daesh”, il gruppo Stato islamico, ha dichiarato Gentiloni in un’intervista al Financial Times. “Porteremo a Roma una massa critica dal punto di vista diplomatico, ma poi l’accordo dovrà essere sancito dai libici”, ha aggiunto.

L’avanzata dello Stato islamico

In un rapporto pubblicato all’inizio del mese sui gruppi terroristici attivi in Libia, un gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite ha avvertito che il gruppo Stato islamico (Is) ha ormai una presenza significativa nel paese nordafricano e potrebbe estendere ulteriormente il suo controllo attraverso alleanze locali. Al di fuori della Siria e dell’Iraq, la Libia si è dimostrata il terreno più fertile per l’espansione del gruppo jihadista che ha imposto il suo controllo su Sirte, ex roccaforte di Muammar Gheddafi, e su oltre centocinquanta chilometri di costa mediterranea. Il gruppo è presente anche nell’est del paese, dove è entrato in competizione con i gruppi legati ad Al Qaeda.

Negli ultimi due anni il gruppo jihadista guidato da Abu Bakr al Baghdadi avrebbe mandato in Libia diversi comandanti per consolidare la propria presenza. Tra questi c’era Abu Nabil al Anbari (pseudonimo di Wistam al Zubaidi), un veterano dell’Is in Iraq che conobbe Al Baghdadi in una prigione statunitense in Iraq. Al Zubaidi è stato il leader del gruppo in Libia fino al 13 novembre, quando è stato ucciso da un bombardamento statunitense vicino a Derna. Un altro dirigente dell’Is che ha svolto un ruolo significativo in Libia è un mullah del Bahrain, Turki Binali. Secondo il rapporto dell’Onu l’Is ha recentemente annunciato sulla sua rivista in lingua inglese Dabiq che il suo nuovo leader in Libia è Abu al Mughirah al Qahtani, di cui finora non si era mai sentito parlare e la cui identità non è ancora stata verificata.

Secondo il rapporto circa 800 jihadisti libici che hanno combattuto con lo Stato islamico in Siria e in Iraq rappresentano il nucleo dell’Is in Siria, addestrando le nuove reclute sulla fabbricazione di esplosivi e le tecniche di guerriglia urbana. Ma il rapporto sostiene che il gruppo ha attratto anche un numero consistente di reclute dall’Egitto e dal resto del Nordafrica, dallo Yemen, dalla Palestina e dal Mali. Diversi studi recenti hanno parlato di 200 jihadisti nigeriani affiliati a Boko Haram che si troverebbero a Sirte. In tutto, al momento l’Is potrebbe contare in Libia su circa tremila combattenti, di cui la metà basati a Sirte.

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