Il testo approvato alla Conferenza sul clima di Parigi parte da un presupposto fondamentale: “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta”. Richiede pertanto “la massima cooperazione di tutti i paesi” con l’obiettivo di “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”.
Corretto, limato e rivisto in 12 giorni e notti di negoziati a Le Bourget, alle porte della capitale francese, il documento è stato presentato con 16 ore di ritardo rispetto alla chiusura prevista per la conferenza. Ma alla fine le delegazioni di 196 paesi hanno appianato le divergenze e hanno appoggiato l’accordo. Alle 19.26 del 12 dicembre, il presidente della Conferenza e ministro degli esteri francese Laurent Fabius ha annunciato all’assemblea plenaria riunita da ore: “L’accordo di Parigi sul clima è stato adottato”.
Per entrare in vigore nel 2020, l’accordo deve ora essere ratificato, accettato o approvato da almeno 55 paesi che rappresentano complessivamente il 55 per cento delle emissioni mondiali di gas serra.
Cosa prevede
- Aumento della temperatura entro i 2°. Alla conferenza sul clima che si è tenuta a Copenaghen nel 2009, i circa 200 paesi partecipanti si diedero l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale rispetto ai valori dell’era preindustriale. L’accordo di Parigi stabilisce che questo rialzo va contenuto “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi”, sforzandosi di fermarsi a +1,5°. Per centrare l’obiettivo, le emissioni devono cominciare a calare dal 2020.
- Consenso globale. A differenza di sei anni fa, quando l’accordo si era arenato, questa volta ha aderito tutto il mondo, compresi i quattro più grandi inquinatori: oltre all’Europa, anche la Cina, l’India e gli Stati Uniti si sono impegnati a tagliare le emissioni.
- Controlli ogni cinque anni. Il testo prevede un processo di revisione degli obiettivi che dovrà svolgersi ogni cinque anni. Ma già nel 2018 si chiederà agli stati di aumentare i tagli delle emissioni, così da arrivare pronti al 2020. Il primo controllo quinquennale sarà quindi nel 2023 e poi a seguire.
- Fondi per l’energia pulita. I paesi di vecchia industrializzazione erogheranno cento miliardi all’anno (dal 2020) per diffondere in tutto il mondo le tecnologie verdi e decarbonizzare l’economia. Un nuovo obiettivo finanziario sarà fissato al più tardi nel 2025. Potranno contribuire anche fondi e investitori privati.
- Rimborsi ai paesi più esposti. L’accordo dà il via a un meccanismo di rimborsi per compensare le perdite finanziarie causate dai cambiamenti climatici nei paesi più vulnerabili geograficamente, che spesso sono anche i più poveri.
Le critiche di ambientalisti e scienziati
- Partenza troppo prorogata. Secondo molti è rischioso stabilire nel 2018-2023 la prima revisione degli obiettivi nazionali sulla quantità di emissioni: se infatti il mondo continua a inquinare come sempre per altri tre anni, a quel punto sarà impossibile raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi.
- Nessuna data per l’azzeramento delle emissioni. Non è stato fissato un calendario che porti alla progressiva, ma totale, sostituzione delle fonti energetiche fossili. La richiesta degli ambientalisti era quella di arrivare a una riduzione del 70 per cento rispetto ai livelli attuali intorno al 2050, e raggiungere le emissioni zero nel decennio successivo.
- Potere ai produttori di petrolio. I produttori di petrolio e gas – tanto le imprese quanto i paesi – si sono opposti e hanno ottenuto che non si specificasse una data per la decarbonizzazione dell’economia.
- I controlli saranno autocertificati. I paesi più industrializzati volevano che fossero gli organismi internazionali a controllare se ogni paese rispetta le sue quote di emissioni; gli emergenti (soprattutto la Cina) hanno chiesto e ottenuto, invece, che ogni stato verifichi le sue.
- Nessun intervento su aerei e navi. Le emissioni di un volo tra Pechino e Roma, per esempio, sono per definizione internazionali e nessun paese vuole conteggiarle tra le sue. È per questo, ma anche per il potere delle compagnie, che ancora una volta i gas di scarico di aerei e navi sfuggono a ogni controllo.
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