Il 18 marzo la crisi politica in Brasile è entrata in una nuova fase. Dopo mesi di controversie di natura procedurale, i membri del congresso hanno votato per avviare la procedura di messa in stato di accusa di Dilma Rousseff, la contestata presidente del paese. Sulla carta, il principale peccato di Rousseff è stato il ricorso a raggiri contabili per nascondere le reali dimensioni del deficit di bilancio. In pratica, sta pagando il prezzo politico della cattiva gestione dell’economia e di uno scandalo di corruzione e tangenti nella compagnia petrolifera di stato, la Petrobras, che ha travolto il Partito dei lavoratori (Pt), il partito di sinistra a cui Rousseff appartiene. Sopravviverà a questa prova?
Non è la prima volta che la giovane democrazia brasiliana affronta il trauma della messa in stato d’accusa del presidente. Nel 1992, sette anni dopo la fine del regime militare durato dal 1964 al 1985, i deputati hanno cacciato a calci Fernando Collor. Collor era il primo presidente eletto dopo la dittatura ed era stato accusato di aver incassato mazzette (la sua condanna penale è stata in seguito rovesciata sulla base di un tecnicismo; oggi è senatore, per di più sottoposto a indagini nell’ambito del pasticcio Petrobras, in cui però nega alcun coinvolgimento). All’epoca, sia i cittadini brasiliani che i loro rappresentanti a Brasilia concordavano sul fatto che Collor dovesse andarsene. La mozione di messa in stato d’accusa ottenne con facilità il sostegno dei due terzi dei voti a favore in entrambe le camere del Congresso.
In Brasile non c’è accordo sul fatto
che ritoccare i conti dello stato
sia passibile di destituzione
Per evitare un simile destino, Rousseff deve prima di tutto convincere almeno 172 deputati su 513 a sostenerla. Ha a disposizione dieci sedute congressuali, cioè tra le due e le tre settimane, per presentare una linea difensiva alla commissione parlamentare creata sul suo caso. Questo organismo ha poi cinque sedute per emettere un parere e comunicarlo alla camera riunita in seduta plenaria, chiamata a esprimere un voto entro 48 ore.
Se gli avversari di Rousseff non raggiungeranno la quota di 342 voti, la richiesta di destituzione sarà respinta. Se dovessero invece farcela, la discussione passerebbe al senato, che deve ratificare a maggioranza assoluta (41 senatori su 81) la decisione della camera. In tal caso, inizierà un processo che potrà durare fino a 180 giorni, presieduto dal presidente della corte suprema. In questo periodo, Rousseff è obbligata a dimettersi. Il suo vicepresidente, Michel Temer, prenderà momentaneamente il suo posto. Se alla fine del processo almeno 54 senatori voteranno per rimuoverla, Temer porterà probabilmente a termine il mandato, che si concluderà nel 2018.
Quante probabilità ci sono che tutto questo accada? Gli avvocati non concordano sul fatto che ritoccare i conti dello stato possa costituire una violazione passibile di destituzione. Le altre accuse contro Rousseff, tra cui il tentativo di interferire con le indagini sul caso Petrobras, restano senza prove (lei nega qualsiasi coinvolgimento).
La presidente inoltre ha molti più amici di quanti non ne avesse Collor prima della sua cacciata. Un centinaio di deputati si oppongono per principio alla messa in stato d’accusa e dalla loro parte c’è lo zoccolo duro dell’elettorato del Pt: 300mila militanti hanno manifestato il 18 marzo in tutto il paese a favore del governo.
Dal 13 marzo sono però iniziate le defezioni degli alleati centristi dopo che circa 3,6 milioni di manifestanti sono scesi in piazza in tutto il paese per chiedere la destituzione di Dilma, e sono continuate dopo un tentativo non riuscito di nominare capo di gabinetto il suo astuto predecessore, Luiz Inácio Lula da Silva (perché sarebbe un “abile negoziatore” in grado di risolvere lo stallo economico e politico del Brasile, secondo lei; per proteggerlo dagli inquirenti dell’indagine sulla Petrobras, secondo i suoi oppositori).
Il 68 per cento dei brasiliani si dichiara a favore della messa in stato d’accusa. I deputati indecisi ne prenderanno nota, a prescindere dalla plausibilità delle accuse di aver truccato i conti. Se la mozione dovesse superare il voto della camera, che potrebbe votare entro la fine di aprile, per i senatori diventerà difficile opporsi dal punto di vista politico. Tra un mese, Rousseff potrebbe essere disoccupata.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo di J.P. è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.
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