“Quello che è successo a Giulio non è un caso isolato”, ha detto Paola Regeni, la madre del ricercatore italiano ritrovato morto con segni di tortura al Cairo, in circostanze ancora da chiarire.
Paola e Claudio Regeni, i genitori di Giulio Regeni, hanno tenuto una conferenza stampa al senato a cui hanno partecipato anche il legale della famiglia, Alessandra Ballerini, il portavoce di Amnesty international Italia, Riccardo Noury e il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del senato.
Per contrastare la versione diffusa il 25 marzo dalla procura egiziana, i genitori e il legale della famiglia di Regeni avevano deciso di mostrare l’immagine del ragazzo ucciso e torturato al Cairo. Una foto della salma scattata dai genitori una volta che il corpo è arrivato a Roma. In seguito alla mobilitazione dell’opinione pubblica italiana per chiedere verità sulla morte di Regeni, la famiglia ha cambiato idea sulla diffusione della foto.
Paola Regeni, la madre del ragazzo, ha raccontato che in un primo momento i genitori, consigliati dalle autorità egiziane, avevano deciso di non vedere la salma, ma poi, una volta portato all’obitorio di medicina legale dell’università di Roma, i genitori hanno deciso di affrontare il riconoscimento del ragazzo.
“L’ultima immagine che abbiamo di Giulio è quella che conoscono tutti: quella di un ragazzo aperto e solare”, ha raccontato Paola Regeni. “Un’immagine che non ha niente a che fare con il volto restituito dall’Egitto: un volto piccolo, piccolo, piccolo. Forse l’unica cosa che ho ritrovato di lui all’obitorio è la punta del naso. Non avrei mai pensato di doverlo riconoscere dal naso”, ha detto Paola Regeni.
Parlando dell’incontro tra polizia egiziana e italiana previsto per martedì prossimo, la madre di Regeni ha detto: “Se il 5 aprile sarà una giornata vuota, ci attendiamo una risposta forte da parte del nostro governo”. Il senatore Luigi Manconi ha confermato che a incontrarsi saranno le polizie e non le procure dei due paesi che indagano sul caso.
Gli oggetti mostrati dall’Egitto non appartengono con certezza a Giulio Regeni
La famiglia e i legali confermano che gli oggetti personali di Giulio Regeni, mostrati dalla procura egiziana il 25 marzo, non appartengono al ricercatore. “Rimane qualche dubbio sul portafoglio del ragazzo, ma gli altri oggetti non appartengono con certezza a Giulio Regeni”, ha detto Alessandra Ballerini. L’avvocata ha confermato che Giulio Regeni è stato torturato per otto giorni, in maniera continuativa. Il giorno della morte di Giulio, secondo quanto emerso dall’autopsia fatta a Roma, è il 1 o il 2 febbraio.
La notizia della scomparsa di Giulio Regeni è stata data ufficialmente il 31 gennaio, anche se i genitori e gli amici di Regeni sono stati informati della scomparsa di Giulio il 27 gennaio, perché le autorità hanno chiesto di non diffondere l’informazione della scomparsa del ricercatore.
I genitori di Regeni hanno confermato che Giulio era sereno al momento della partenza per l’Egitto. “Era in un momento particolarmente felice della sua vita”, ha detto il padre di Regeni.
Raccontando ai giornalisti il suo stato d’animo, la madre di Regeni ha detto: “Non mi viene da piangere, ho una specie di blocco. Quello che mi tormenta, notte e giorno, è immaginare il momento in cui Giulio, che era un ragazzo estremamente intelligente, ha capito che quella porta non si sarebbe più aperta”.
Il portavoce di Amnesty international Riccardo Noury ha denunciato che il caso Regeni non è isolato: “Nel 2015 ci sono stati 466 casi di sparizione forzata in Egitto, i casi documentati di tortura sono stati 1.056. Nel 2016 i casi documentati di tortura sono stati 88 e nei giorni in cui Giulio Regeni era scomparso, sono scomparse anche altre due persone”, ha dichiarato Noury.
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