Nel 2015 le spese militari mondiali sono aumentate dell’1 per cento: è il primo aumento annuale degli ultimi quattro anni. Lo rivela il rapporto dello Stockholm international peace research institute (Sipri), secondo cui il 10 per cento di questa spesa potrebbe coprire i costi degli obiettivi globali finalizzati a mettere fine alla povertà e alla fame entro il 2030.

Il Sipri ha calcolato che lo scorso anno le spese militari mondiali sono state pari a 1.676 miliardi di dollari. Sono gli Stati Uniti a fare di gran lunga la parte del leone, anche se i tagli del 2,4 per cento hanno portato il totale delle spese militari statunitensi a 596 miliardi di dollari.

La Cina è il secondo paese nella classifica, per il secondo anno consecutivo, con un aumento del 7,4 per cento che la porta a un totale di 215 miliardi di spesa militare, mentre l’Arabia Saudita ha superato la Russia, posizionandosi terza, con il Regno Unito in quinta posizione.

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Secondo il Sipri le spese militari rappresentano il 2,3 per cento del prodotto interno lordo mondiale, e il 10 per cento di tale somma sarebbe sufficiente a finanziare gli obiettivi di sviluppo sostenibile concordati a settembre dai 193 stati membri delle Nazioni Unite per porre fine alla fame e alla povertà entro il 2030.

“Questa stima può dare un’idea alla gente del costo opportunità che deriva dalle spese militari globali”, ha dichiarato alla Thomson Reuters Foundation Sam Perlo-Freeman, capo del progetto sulle spese militari del Sipri.

Secondo le stime dell’Onu circa ottocento milioni di persone vivono in estrema povertà e soffrono la fame, e i tassi di povertà più alti si registrano nei paesi fragili e colpiti dalla guerra.

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Il rapporto annuale del Sipri sulle spese militari mostra che le spese globali sono aumentate lo scorso anno in Asia, Europa centrale e orientale e nei paesi del Medio-oriente per il quale sono disponibili dati.

Le spese sono invece calate in Nord America, Europa occidentale, America Latina, Caraibi e Africa, una tendenza già avviata e dovuta in parte alla crisi economica globale, al calo dei prezzi del petrolio e al ritiro delle truppe straniere da Afghanistan e Iraq.

“Da un lato, le spese riflettono i conflitti e le tensioni crescenti in molte parti del mondo. Dall’altra mostrano un’evidente discontinuità rispetto alla crescita delle spese militari dell’ultimo decennio, alimentate dal petrolio”, ha spiegato Perlo-Freeman.

Tra i paesi che hanno aumentato le spese militari nel 2015 ci sono Algeria, Azerbaigian, Russia, Arabia Saudita e Vietman, molti dei quali sono coinvolti in conflitti militari o devono affrontare tensioni regionali crescenti.

Perlo-Freeman ha spiegato che è la prima volta che il Sipri confronta le spese militari con i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu, ma che in passato le aveva comparate con le spese destinate alla salute e all’istruzione.

Il progetto del Sipri sulle spese militari è stato avviato nel 1967. “Non è un segreto che siamo un’istituto di ricerca sulla pace. La nostra missione è la promozione della pace e della smilitarizzazione, anche se non possiamo sapere quando questo accadrà”, ha aggiunto Perlo-Freeman.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dalla Thomson Reuters Foundation.

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