Elmira Bagiryan sta lasciando il villaggio, nell’epicentro degli scontri cominciati quattro giorni prima tra l’Azerbaigian e le truppe armene, anche se le ostilità sono cessate. “Temiamo che ricominceranno a sparare”, dice mentre si prepara a salire in una macchina carica di tappeti, cuscini, coperte e mobili di casa.
Durante i quattro giorni di combattimenti nel Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena che vuole l’indipendenza dall’Azerbaigian, il villaggio di Talysh è rapidamente finito sotto il controllo delle truppe azere. Gli scontri si sono interrotti il 5 aprile, di pomeriggio, dopo una tregua bilaterale.
La Russia, che ha organizzato un incontro tra i capi di stato maggiore delle forze armate azere e armene, rivendica un ruolo cruciale nella mediazione. Il presidente Vladimir Putin ha addirittura telefonato ai presidenti di Azerbaigian e Armenia per esortarli a firmare la tregua.
Quelli di questa settimana sono stati gli scontri più violenti dai tempi del conflitto dell’inizio degli anni novanta. La paura è che scoppi una nuova guerra in quella regione, strategica perché da lì passano gasdotti e oleodotti che riforniscono i mercati di tutto il mondo.
A Talysh, a pochi chilometri dalla città azera di Barda, all’estremo nord del territorio dei separatisti, mercoledì pomeriggio le armi tacevano. Le truppe armene, che hanno ripreso saldamente il controllo del villaggio, se ne andavano in giro sorridendo.
Ma la violenza degli scontri dei giorni precedenti ha lasciato il segno. Molte case sono state distrutte dalle granate. Lungo la strada c’era lo scheletro di un’auto bruciata, mentre nelle vicinanze si contavano parecchie carcasse di mucca.
Secondo Bagiryan, una donna armena sui 60 anni con i capelli grigi, tre abitanti del villaggio sono stati uccisi. Sull’orlo delle lacrime, racconta di aver passato giorni e notti nello scantinato di una vicina per proteggersi dalle granate.
Quando martedì è stato raggiunto l’accordo è tornata la calma, ma Bagiryan ha deciso di andarsene ugualmente. Anche altri abitanti del villaggio hanno approfittato della tregua per partire. Hanno caricato le loro cose su auto e camion e si sono allontanati dalla prima linea.
Gli abitanti del villaggio per giorni sono sono riparati dalle granate
nei cortili interni dei palazzi
La guerra degli anni novanta tra le due ex repubbliche sovietiche ha provocato migliaia di morti da entrambe le parti e centinaia di migliaia di profughi. Il conflitto si è concluso con un armistizio nel 1994, ma sporadici scoppi di violenza non sono mai mancati. La tregua è stata infranta il 1 aprile, quando l’esercito azero e i separatisti del Nagorno-Karabakh spalleggiati dall’Armenia hanno ingaggiato un duro scontro a fuoco che ha coinvolto l’uso dell’artiglieria e di carri armati, lanciarazzi ed elicotteri. Almeno 64 persone sono rimaste uccise.
Dall’altra parte del fronte rispetto al villaggio di Talysh, in una zona controllata dalle autorità azere, mercoledì non si è combattuto. Ma anche lì c’erano i segni della distruzione. Secondo Amina Suleimanly, un’insegnante di 46 anni che vive ad Akhmetagaly, da sabato gli abitanti del villaggio avevano cominciato a nascondersi nei cortili interni per ripararsi dalle granate lanciate dalle trincee separatiste, scavate a pochi chilometri di distanza.
“Sparavano senza sosta”, ha detto a un giornalista della Reuters che ha visitato il villaggio. Una casa vicino alla sua è stata colpita ed è stata distrutta, anche se era disabitata. Secondo Amina, un uomo del posto è stato ucciso da un colpo di artiglieria.
(Traduzione di Alberto Frigo)
Questo articolo è stato pubblicato dalla Thomson Reuters Foundation.
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