Londra è stata per molto tempo uno dei centri della cultura pop più influenti nel mondo, soprattutto nel campo della moda e della musica. Ha avuto tutto, dai Sex Pistols ai ritmi caraibici del carnevale di Notting Hill, fino all’attuale scena grime. Il pop londinese, adesso sta per arricchirsi di un’inflessione decisamente africana con il lancio della prima radio afrobeats del Regno Unito.
Il 28 marzo Beat Fm, una popolare emittente radiofonica di Lagos, ha cominciato a trasmettere dalle frequenze di una radio di comunità nell’area nord di Londra. Diventerà la porta d’accesso all’afrobeats, ai ritmi e alle influenze hip-hop della musica che ascoltano i giovani africani in città come Accra, Nairobi, Dar Es Salaam e Lagos.
Fino a non molto tempo fa un’idea del genere sarebbe apparsa troppo ambiziosa. Ma i successi di star come i nigeriani Tiwa Savage e Wizkid, i ghaneani Stonebwoy e Sarkodie, il sudafricano Cassper Nyovest e il tanzaniano Diamond Platnumz, cominciano a risuonare nei locali notturni di Londra e si affacciano ai margini delle playlist radiofoniche in tutto il Regno Unito.
Secondo Chris Ubosi, amministratore delegato della Megalectrics, azienda madre di Beat Fm, Beat Fm London sarà una piattaforma per il mercato in crescita della musica africana: “Vogliamo metterla sullo stesso piano degli altri generi”, ha dichiarato. “Deve entrare nel mainstream e non essere relegata solo a contesti particolari”. Ubosi prevede già l’espansione del marchio Beat Fm in Nordamerica.
La musica africana non è stata sempre così apprezzata sul piano commerciale. Quindici anni fa, dopo essere state ignorate per tutti gli anni ottanta e novanta, per le etichette discografiche africane è cominciata una lenta rinascita. In assenza di infrastrutture adeguate e con una pirateria dilagante gli artisti faticavano a guadagnarsi da vivere e i profitti erano insignificanti. Con la crescita economica in paesi come la Nigeria e il Ghana, è emerso un nuovo desiderio di forme di intrattenimento locali.
Un buon modello
Questa ritrovata fiducia, diffusa soprattutto tra gli africani più giovani che vivono nelle grandi città, era guidata dalla crescita di Nollywood, l’industria cinematografica nigeriana. Nollywood poi ha ispirato e influenzato le industrie cinematografiche di tutto il continente. Il settore musicale ha seguito l’esempio del cinema.
Anche se le vendite di dischi sono crollate come nel resto del mondo, con la crescita delle economie locali un numero maggiore di artisti africani sono riusciti a guadagnare grazie ai concerti dal vivo e hanno cominciato a ottenere il sostegno di grandi aziende, del settore e non. Compagnie di telefonia locali come Mtn e Globacom si sono dimostrate particolarmente aggressive nel tentativo di differenziarsi tramite accordi di sponsorizzazione di artisti e di produzioni musicali. Oggi è piuttosto comune sentire canzoni afrobeats sotto forma di suonerie quando si chiama un cellulare nigeriano. Le compagnie telefoniche hanno inoltre sostenuto diversi servizi di streaming e di download di musica.
Secondo Demola Ogundele, fondatore di Notjustok, uno dei primi blog dedicati all’afrobeats, la distribuzione digitale sta contribuendo ad aprire il mercato africano, soprattutto grazie alle collaborazioni con compagnie telefoniche e tecnologiche. Di conseguenza, si prevede che entro il 2017 i profitti ricavati dal mercato digitale saranno dieci volte superiori al mercato fisico.
Un altro segnale della crescita del settore musicale africano è l’entrata in scena della Sony Music. Nel febbraio del 2016 il gigante musicale ha aperto un ufficio a Lagos con l’obiettivo di sfruttare un trend in crescita: secondo le stime il mercato dei consumi musicali nel 2015 in Nigeria si aggira intorno ai 43 milioni di dollari.
Gli artisti africani non hanno più solo il sogno di strappare collaborazioni con grandi star internazionali, con l’afrobeats possono provare a entrare nel mercato. Su questo fronte i progressi sono stati notevoli. Uno dei palchi più grandi del festival musicale South By South West (Sxsw) di Austin, in Texas, è quello di The Fader su cui si è esibito il nigeriano Davido.
L’esibizione di Davido testimonia la crescente popolarità e la rilevanza della musica africana. Naturalmente non è una vera novità. Quest’ultima ondata di musica africana ha cominciato ad affacciarsi negli Stati Uniti con African queen di 2face Idibia, inclusa nella colonna sonora di L’amore si fa largo, film del 2006 con M0’Nique. Oliver Twist, singolo della popstar nigeriana D’banj uscito nel 2012, aveva fatto la sua comparsa nelle classifiche di nove paesi europei, e nel Regno Unito è entrato addirittura nella top ten.
Non è l’afrobeat dei nostri padri
L’afrobeats ha i suoi critici. Innanzitutto genera una confusione con “afrobeat”, il genere jazz afro-funk creato da Fela Kuti negli anni settanta. Lo stile musicale del moderno afrobeats – un hip-hop elettronico che fa ampio ricorso alla manipolazione audio con tracce orecchiabili usa e getta è un sound tipico dei millennial africani – è ideale per ruotare a ritmi vorticosi sulle radio locali e per la condivisione su YouTube. La musica di Fela, con i suoi importanti messaggi sociali, non potrebbe sotto questo profilo essere più distante dall’afrobeats. Ecco perché per alcuni associare i due generi rasenta l’eresia. Comunque l’afrobeats di oggi domina nei locali e nelle frequenze radio e l’anno scorso i musicisti keniani hanno protestato perché a loro avviso la loro musica veniva oscurata sulle radio dalla presenza di quella nigeriana.
Secondo Rab Bakari, un pioniere dell’hip-hop ghanano-americano ed ex manager di una casa discografica statunitense che adesso promuove musicisti africani, gli esponenti più ambiziosi dell’afrobeats sono convinti di aver “raggiunto il limite” e di aver ormai “superato” i mercati locali.
Tuttavia è difficile che un genere musicale si diffonda senza avere una presenza costante in radio. Nel Regno Unito, Bbc Radio 1Xtra e Capital Radio Xtra (due stazioni specializzate nella black music) hanno creato delle playlist di afrobeats, ma non è detto che questo genere venga poi trasmesso dalle loro stazioni sorelle più diffuse, e possa aggiungere quindi un pubblico molto più ampio.
Ivor Etienne, direttore generale di Beat Fm London, potrebbe essere nella posizione più adatta per aiutare l’afrobeats a entrare nel mainstream, almeno nel Regno Unito. Negli anni novanta, Etienne ha guidato Choice Fm, la prima stazione di comunità della capitale briannica dedicata alla black music. Il lancio di Choice Fm ha coinciso con l’ascesa del reggae dancehall e ha visto la creazione di star internazionali come Shaggy e Shabba Ranks.
Sognare in grande
Per entrare nei mercati internazionali sarà necessario un enorme lavoro dal basso. Forse una stazione radio non è abbastanza per conquistare l’enorme e diversificato mercato statunitense, il vero obiettivo della maggior parte degli artisti africani.
Phiona Okumu, direttrice di AfriPop, una rivista online dedicata alla cultura pop in Africa, suggerisce che internet, lo strumento cruciale nell’evoluzione delle industrie locali, potrebbe tornare utile anche in questo caso. “Internet è il grande livellatore: grazie alla rete chiunque sia disposto a sparire in quelle tane da coniglio che sono SoundCloud e YouTube ha la possibilità di scoprire qualsiasi cosa l’algoritmo decida di scaraventargli addosso”.
Sicuramente gli artisti sono pronti per far irrompere l’afrobeats sulla scena musicale globale, soprattutto in un momento in cui il predominio della musica dance elettronica (Edm) potrebbe cominciare a svanire. Questo almeno è quello che pensano osservatori del settore come Okumu di AfriPop. Una stazione radio che ha l’obiettivo di presentare l’afrobeats come genere di primo piano e non più di nicchia può facilitare questo processo. E Beat Fm London sarà un ottimo strumento per valutarne le potenzialità, anche perché quello londinese e più in generale del Regno Unito è il mercato più influente del mondo nel dettare le mode della cultura pop. Beat Fm London non sarà probabilmente una piattaforma magica che porterà gli artisti africani a vincere una valanga di Grammy ma, come dice Ubosi, è “un passo nella direzione giusta”.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito su Quartz.
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