Dal 31 agosto e fino alla fine della settimana si terranno dei colloqui di pace nella capitale birmana Naypyidaw tra il potere centrale, incarnato da Aung San Suu Kyi, e circa 700 rappresentanti dei gruppi ribelli, tra cui l’Organizzazione kachin per l’indipendenza(Kio).
L’obiettivo dei colloqui, che rappresentano un test politico molto importante per il premio Nobel per la pace del 1991, è mettere fine a quasi 70 anni di conflitti etnici. Dall’esito di queste trattative dipenderà anche il futuro di un paese nei confronti del quale gli Stati Uniti, l’India e la Cina cercano di imporre la loro influenza.
Al contrario del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il presidente cinese Xi Jinping non assisterà ai colloqui. Ma, durante la visita di Aung San Suu Kyi a Pechino, due settimane fa, il presidente cinese ha dato il suo sostegno alla conferenza di Panglong del ventunesimo secolo – in riferimento all’omonimo accordo firmato nel 1947 da Aung San, padre di della ministra degli esteri, che garantiva alle diverse etnie una larga autonomia (il paese ne conta 135).
Il sostegno della Cina non è casuale. La regione di Kokang, nella parte settentrionale dello stato Shan (nordest), alla frontiera con lo stato cinese dello Yunnan, è al centro di scontri ricorrenti che destabilizzano i due paesi. Il New York Times spiega che oggi la Cina è più favorevole a un clima di distensione, dopo aver a lungo incoraggiato le rivolte, non a causa di scrupoli morali ma perché l’anarchia legata agli scontri fa prosperare il traffico illegale di giada e di legno esotico a scapito del commercio legale.
A gennaio l’ex presidente birmanoThein Sein aveva già organizzato una conferenza di pace. Ma quella del 31 agosto è diversa in quanto raccoglie un maggior numero di partecipanti. In effetti non ci saranno solo i militari e i gruppi che avevano firmato la tregua.
In un editoriale sul sito birmano The Irrawaddy la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel paese, Yanghee Lee, osserva che questa scadenza è solo una prima tappa verso la riconciliazione. Una tappa comunque fondamentale per permettere al paese di avviarsi su una strada meno accidentata.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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