La clamorosa affermazione del Rassemblement national, il partito populista guidato da Marine Le Pen, alle elezioni europee del 9 giugno 2024 rischia di provocare un terremoto politico in Francia. La formazione di estrema destra ha superato il 40 per cento dei consensi, doppiando quelli ricevuti da Renaissance, il partito del presidente Emmanuel Macron. Subito dopo il voto l’Eliseo ha indetto elezioni legislative anticipate per il 30 giugno (data del primo turno) e il 7 luglio (secondo turno), in seguito alle quali a Parigi potrebbe insediarsi per la prima volta un governo di estrema destra.

Ma questo non è l’unico pericolo a cui va incontro la Francia, che nei prossimi mesi dovrà fare i conti con la tenuta dei conti pubblici. Il bilancio dello stato è già in condizioni precarie: nel 2023 il deficit è stato pari al 5,5 per cento del pil, ben oltre il 4,9 per cento previsto dal governo (uno dei risultati peggiori dell’eurozona), mentre il debito pubblico è intorno ai tremila miliardi di euro, pari al 110,6 per cento del pil; il 31 maggio il debito pubblico francese è stato declassato dall’agenzia di rating Moody’s; infine il 19 giugno la Commissione europea ha proposto di aprire una procedura per deficit eccessivo contro la Francia e altri sei paesi (Italia, Belgio, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia), anche se ha rinviato la decisione a luglio e la raccomandazione sul risanamento dei conti a novembre. In futuro le finanze pubbliche rischiano un vero e proprio tracollo se, una volta al governo, Le Pen dovesse attuare il suo programma economico fatto di costose misure, come i tagli alle tasse e l’abbassamento dell’età pensionabile, dalla copertura finanziaria quanto meno dubbia.

Le Pen, come tutti i populisti, non esita a fare promesse mirabolanti pur di raccogliere voti. Ma una volta al governo dovrà fare i conti con la realtà, magari ridimensionando gli impegni presi. Lo spiega un articolo del Financial Times, che non esita a parlare di uno “stile Liz Truss”, ricordando il caso della premier conservatrice britannica costretta alle dimissioni nell’autunno 2022 in seguito a un durissimo attacco dei mercati finanziari, cominciato dopo aver proposto tagli alle tasse per 45 miliardi di dollari, quasi interamente finanziati con nuovi debiti.

Alcuni analisti sostengono che a Parigi potrebbe andare addirittura peggio, considerando che “gli effetti dei programmi di spesa di Le Pen sui conti pubblici sarebbero doppi rispetto a quelli di Truss: il rapporto tra deficit e pil potrebbe salire in un solo colpo del 3,9 per cento”. Da quando Macron ha sciolto il parlamento, lo spread (la differenza di rendimento) tra i titoli di stato francesi e quelli tedeschi (il punto di riferimento del mercato) si è ampliato, raggiungendo il livello più alto dall’ottobre 2023.

In due soli giorni, tra il 10 e l’11 giugno, le tensioni sui mercati hanno fatto scendere di circa dieci miliardi di euro il valore dei titoli nelle mani delle grandi banche francesi Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole. Hanno subìto duri colpi anche le aziende che gestiscono le autostrade e compagnie energetiche come la Engie, che possiede grandi parchi eolici: il partito di Le Pen, infatti, vuole nazionalizzare le autostrade per far pagare pedaggi meno cari ai francesi e smantellare i parchi eolici.

Il fatto non è sfuggito al Rassemblement national, che si è affrettato a frenare, per esempio, sulla proposta di cancellare l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni voluto da Macron nel 2023. L’anno scorso Le Pen è stata tra i protagonisti delle dure ed estese proteste contro la riforma e ha promesso di riportare il limite a sessant’anni, pur sapendo che la misura potrebbe costare decine di miliardi in più all’anno allo stato. Sono della stessa natura le altre proposte economiche, che fanno presa sulle famiglie con redditi bassi e medi: tagliare le tasse sull’energia elettrica e sul carburante e ridurre l’iva su alcuni beni essenziali, tra cui i generi alimentari.

In occasione delle presidenziali del 2022 il centro studi indipendente Institut Montaigne aveva stimato che tutte queste misure avrebbero potuto tradursi in una spesa pubblica aggiuntiva di 101 miliardi di euro all’anno. Il Rassemblement national assicura che negli ultimi due anni il suo programma è cambiato, soprattutto perché indica le entrate necessarie a finanziarlo. La realtà sembra diversa, visto che molte coperture appaiono insufficienti e per di più minacciano di aggravare i problemi sociali. Indicativa da questo punto di vista è l’idea di raccogliere risorse ostacolando l’immigrazione e risparmiando sui servizi ai lavoratori stranieri, come il sussidio di disoccupazione o gli assegni familiari, a meno che non dimostrino di avere almeno un componente del nucleo familiare con la cittadinanza francese. Le Pen ha anche promesso profondi tagli alla pubblica amministrazione, a livello sia centrale sia locale.

Il rischio di essere governati dal Rassemblement national ha scatenato le proteste di alcuni settori dell’opinione pubblica francese, ma soprattutto sembra aver unito l’opposizione di sinistra, che il 14 giugno ha presentato un programma di governo sotto la sigla Nouveau front populaire (Nfp, nuovo fronte popolare). La formazione tiene insieme i verdi francesi, La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, il Partito comunista, il Partito socialista, più altre sigle della sinistra, dei sindacati e della società civile. Il programma dell’Nfp prende di mira non solo Le Pen ma anche le politiche di Macron, giudicate troppo vicine agli interessi delle aziende e dannose per i lavoratori. Nel complesso, tuttavia, anche queste misure promettono di essere piuttosto pesanti per il bilancio dello stato francese: come scrive Le Monde, l’Nfp propone il rafforzamento dei sussidi per la casa, del budget di alcuni ministeri, del numero di dipendenti pubblici, oltre all’aumento del salario minimo a 1.600 euro al mese, un livello al quale dovrebbero essere adeguate le pensioni minime.

Per finanziare le misure si punta innanzitutto ad aumentare le tasse per chi ha di più e ridurre la possibilità di eludere il fisco. Inoltre, le famiglie più ricche sarebbero nuovamente soggette all’Impôt de solidarité sur la fortune (Isf, sostituita nel 2018 dall’Impôt sur la fortune immobilière), con aliquote più alte, alla tassazione dei capitali, a una “exit tax” sui contribuenti andati all’estero, mentre l’imposta di successione aumenterebbe colpendo i grandi patrimoni. Nel mirino anche i contributi previdenziali sugli stipendi più alti e le rendite finanziarie. Il programma richiederebbe comunque un maggiore ricorso al debito: in questa prospettiva l’Nfp si dice pronto a rifiutare le regole di bilancio europee.

Alcuni osservatori ora temono che il mondo delle imprese francesi, atterrito dall’Nfp, finisca col gettarsi tra le braccia di Le Pen, voltando le spalle a Macron. Alle urne, tuttavia, conterà il parere di milioni di cittadini, di cui sia il programma del Rassemblement national sia quello dell’Nfp sono espressione. Una politica come Le Pen non è un fenomeno arrivato da un altro pianeta, ma è nutrito dalla stessa società francese di cui raccoglie e amplifica i problemi, il malcontento e le paure più irrazionali.

Oggi in Francia succede quello che si è visto già in altri paesi: negli Stati Uniti con l’ascesa di Donald Trump e nella stessa Italia con l’avvicendarsi di vari fenomeni populisti, dalla Lega di Matteo Salvini a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni passando per il Movimento 5 stelle. Gli scossoni al sistema francese rischiano di farsi sentire sul resto dell’Unione europea: la diffidenza degli investitori verso un paese indebitato come la Francia potrebbe facilmente estendersi alla vicina Italia; l’arrivo di un governo guidato dal Rassemblement national, partito che non nasconde la sua vicinanza alla Russia, promette di sconvolgere gli equilibri all’interno dell’Unione europea.

“Il programma del Rassemblement national è un insieme di regali”, ha fatto notare Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario internazionale “È irresponsabile, perché promette cose per le quali non ci sono i soldi. L’idea che le misure contro gli immigrati garantiranno ampie entrate è illusoria. Non si parla di riforme, né di come ridurre la disoccupazione, né di come favorire la ridistribuzione della ricchezza, ma quasi sempre di protezionismo. I dazi però difendono i produttori a spese dei consumatori. Altra illusione è l’idea di fare a meno dell’Unione europea, che penalizzerebbe gli esportatori francesi”.

Gli ottimisti, conclude Blanchard, sostengono che alla fine Le Pen farà come Meloni in Italia, cioè metterà discretamente da parte il suo programma, rendendosi conto che le proposte populiste sono spesso inattuabili e finiscono con il penalizzare proprio quella parte della popolazione, la più debole, che il Rassemblement national dice di voler difendere dallo strapotere delle élite.

Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.

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