L’Unione europea e la Turchia sono tornate al lavoro sui negoziati per la liberalizzazione dei visti e su un piano comune per la gestione dei flussi migratori, dopo mesi di crisi diplomatica scoppiata in seguito al fallito colpo di stato del 15 luglio e alla successiva ondata di repressione. La Turchia aveva accusato Bruxelles di “non essere stata empatica e di non aver espresso sostegno” al governo turco dopo il colpo di stato, ricorda Marc Pierini, esperto di relazioni diplomatiche tra l’Unione europea e la Turchia dell’istituto Carnegie Europe di Bruxelles. “Ma nelle ultime due settimane gli sforzi diplomatici per tornare al tavolo delle trattative sono ricominciati a pieno ritmo”, afferma Pierini.

Ci sono stati incontri a margine del G20 in Cina tra funzionari europei e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, poi l’8 settembre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è andato ad Ankara e il giorno successivo sono arrivati anche l’alta rappresentante dell’Unione europea, Federica Mogherini, e il commissario per l’allargamento, Johannes Hahn, per la loro prima visita dopo il colpo di stato. “La fase di gelo diplomatico è stata superata e le questioni più importanti come la liberalizzazione dei visti e l’accordo sui migranti sono tornate sul tavolo delle trattative”, spiega Pierini.

La Turchia chiede sconti sulle condizioni dell’Ue per la liberalizzazione dei visti, ma probabilmente non li otterrà

“Non ci sono divergenze sostanziali tra la Turchia e l’Unione europea nell’accordo sui migranti o sulle regole comuni sulle merci, le uniche divergenze riguardano la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, ma credo che sia solo una quesitone di tempo”, spiega Pierini. “La Turchia chiede sconti sulle condizioni dell’Ue per la liberalizzazione dei visti, ma non penso che li otterrà. Sta alla leadership turca decidere, se non tornerà al tavolo dei negoziati rischia un contraccolpo economico”.

Dal canto suo l’Unione europea sta affrontando la questione in maniera molto pragmatica: non ci sono le condizioni per l’ingresso della Turchia nell’Ue e quindi il processo di adesione per ora è bloccato, ma sulle questioni in cui restano dei margini di accordo si va avanti. L’Unione europea ha chiesto ad Ankara di rispettare 72 condizioni per concedere la liberalizzazione dei visti. In particolare Bruxelles vuole dai turchi la riforma della legge antiterrorismo, alla base dell’arresto di molti oppositori politici, giornalisti e intellettuali, ma il governo turco non ha intenzione di cedere. La possibile reintroduzione della pena di morte da parte di Ankara rappresenta un altro motivo di preoccupazione per Bruxelles.

Tuttavia, secondo Pierini la retorica nazionalista e antioccidentale usata da Erdoğan subito dopo il colpo di stato è servita soprattutto a rafforzare la sua leadership sulla scena politica interna, ma non corrisponde agli interessi, sia economici sia politici, della Turchia sul lungo periodo. “Gli interessi economici di Ankara in Europa sono troppo importanti per essere messi in discussione, e lo stesso vale per la sicurezza. La Turchia è un paese della Nato e questo non cambierà nel breve periodo. Erdoğan può partecipare a delle photo opportunity con Putin, fare affari con Mosca sui gasdotti o sul turismo, ma non dobbiamo sopravvalutare questi aspetti, perché non cambiano la realtà sostanziale che vede gli interessi e la sicurezza della Turchia legati a quelli dell’Unione europea e degli Stati Uniti”, continua Pierini.

Una storia poco onorevole
Dal punto di vista dello stato di diritto, l’accordo sui migranti tra Ankara e Bruxelles non è un pezzo di storia di cui l’Unione europea va fiera, ma per il momento i leader europei non pensano di metterlo in discussione. “La possibilità di deportazioni di massa verso la Turchia, le denunce di violenze da parte della polizia turca contro i profughi siriani alla frontiera, le condizioni dei rifugiati sulle isole greche preoccupano i paesi europei. Eppure al momento nessuno vuole rimettere in discussione l’accordo”, aggiunge Pierini. Con il sistema dei ricollocamenti interni ai paesi dell’Unione che non sta funzionando e con l’innalzamento di nuove barriere interne al confine tra gli stati europei, sembra che Bruxelles non abbia pronto un piano b.

Il riavvicinamento tra Ankara e Bruxelles arriva in un momento in cui si registra un nuovo aumento degli arrivi di migranti in Grecia. Nel mese di agosto in media 109 persone al giorno sono arrivate sulle coste greche, rispetto alle 62 di luglio. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati(Unhcr) ha detto che l’Europa potrebbe assistere a un nuovo afflusso di profughi dalla Turchia, mentre più di 50mila persone sono ancora bloccate in Grecia dopo la chiusura della rotta balcanica. Intanto i ricollocamenti e ricongiungimenti interni all’Unione non decollano.

I quasi tre milioni di profughi siriani che vivono in Turchia sono l’ultimo dei problemi di Erdoğan

Di fatto l’accordo sui migranti non è mai davvero partito: l’Unione europea ha versato solo 105 milioni di euro per i profughi siriani in Turchia a fronte dei tre miliardi promessi, i profughi siriani ricollocati in Europa dalla Turchia sono stati solo un migliaio contro i 72mila promessi nel piano e anche le deportazioni dalla Grecia alla Turchia non sono state sistematiche, perché molti ricorsi presentati dai profughi che rischiavano la deportazione sono stati vinti. “Ma potrebbe solo essere una questione di tempo, perché gli interessi di Ankara e Bruxelles in questo caso coincidono”, afferma Pierini.

Per Erdoğan, l’accordo è vantaggioso dal punto di vista economico e per ora non comporta problemi. “In un momento in cui il governo turco deve affrontare le divisioni interne, il terrorismo nazionale e internazionale e una generale destabilizzazione interna, non credo che voglia mettere in discussione i suoi accordi con l’Unione europea sui migranti. E i quasi tre milioni di profughi siriani che vivono in Turchia sono l’ultimo dei suoi problemi”, afferma Pierini.

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