Ogni terzo weekend del mese, in piazza Indipendenza a Firenze c’è il mercato. I vialetti pedonali e le aiuole sono pieni di bancarelle. C’è chi vende oggetti di antiquariato e chi libri d’epoca. E camminando tra una bancarella e l’altra, ci s’imbatte in due grandi striscioni che dicono “Stipendi subito. Legge regionale” e “Pancia piena di rabbia e di dignità”. È qui che hanno vissuto nelle ultime settimane gli operai dell’ex Gkn di Campi Bisenzio, la fabbrica di componenti per l’industria automobilistica che a lungo è stata un’eccellenza nel panorama produttivo italiano.

Il 18 maggio gli operai si erano accampati di fronte alla sede della regione Toscana a Novoli. Hanno chiesto che fosse avviata la discussione di una legge regionale in grado di offrire strumenti organici per intervenire sulle aree industriali in crisi, come quella di Campi Bisenzio. Nonostante mesi di pressione politica, però, la discussione della legge non è mai cominciata. È così, il 4 giugno, la “tendata”, come è chiamata, si è spostata in piazza Indipendenza e gli operai hanno avviato uno sciopero della fame.

L’accampamento è l’ultimo atto di una vertenza che va avanti dal 9 luglio 2021, quando il fondo finanziario Melrose ha annunciato con un’email il licenziamento immediato di tutti i 422 operai della fabbrica: tre anni dopo l’acquisizione del sito di Campi Bisenzio, Melrose ne annunciava la chiusura. È un copione che abbiamo visto migliaia di volte, quando fabbriche in perfetta salute vengono smembrate e vendute da un fondo finanziario che lascia dietro sé territori depressi e disoccupazione.

Nessuno si aspettava che stavolta le cose sarebbero andate diversamente: i lavoratori hanno deciso che non doveva finire così e si sono rifiutati di assistere passivamente al processo di deindustrializzazione. Quel 9 luglio 2021 è cominciata una mobilitazione che non è ancora finita, con manifestazioni, riunioni, assemblee, per fare di Campi Bisenzio un polo di reindustrializzazione basato sulla mobilità sostenibile e la produzione di energia pulita. Un lungo e appassionato progetto di convergenza che già oggi possiamo considerare la più lunga assemblea permanente nella storia del movimento operaio in Italia.

Uno sciopero della vita

Quando raggiungiamo il presidio, nelle tende ci sono una ventina di persone, tra operai, solidali e medici. Dario Salvetti e Alessandro Tapinassi detto Snupo sono in sciopero della fame da tredici giorni. “La verità è che noi da tre anni siamo in sciopero della vita”, dice Salvetti. “Le grosse conquiste della storia le hanno ottenute persone che hanno lasciato tutto per una lotta che non sapevano se avrebbe portato a un risultato. In ogni lotta, devi annullare il presente per provare a costruire un futuro. E nel momento in cui un sito produttivo chiude, ogni giorno devi decidere se vuoi rimanere attaccato a una fabbrica che non esiste più per provare a riconquistarla o girarti dall’altra parte e andartene. Noi abbiamo deciso di riconquistarla, quella fabbrica, ma la nostra controparte ha fatto di tutto per sfinirci e per logorarci”.

Da circa tre anni, il Collettivo di fabbrica cerca di fare dell’esperienza di Campi Bisenzio il simbolo di un progetto di reindustrializzazione dal basso, sostenuto anche dal legame con altre realtà che, in tutta Italia, si battono per difendere diritti, lavoro e transizione ecologica. Il Collettivo di fabbrica la chiama “convergenza”: un processo di ricomposizione politica che da tre anni dialoga con le altre esperienze di lotta e collabora con università, territori e movimenti sociali per immaginare insieme un futuro in cui il lavoro torni a essere integrato con i bisogni del territorio e con un’idea di futuro sostenibile.

Una politica del ghosting

Da tre anni la grande assente in questo processo è la politica, che ha messo in atto una sorta di ghosting, sparendo e rendendosi irreperibile. “Tu fai una richiesta e la controparte sparisce”, spiega Salvetti. “E a quel punto il fine della lotta diventa avere un incontro. Tant’è che a un certo punto tu lotti per avere un incontro, e quando questo arriva, rischi di sentirti soddisfatto per il semplice fatto di essere riuscito a ottenerlo anche se non ha portato a niente”. Una prassi che logora senza portare a niente.

Di fatto non c’è modo migliore per sfinire dei lavoratori che privarli di stipendio e lasciarli in attesa di risposte. Gli operai della ex Gkn vivono così da tre anni. Nella nostra lotta, spiega Salvetti, “lo sfinimento è stato applicato in tutti i modi, con cambi di liquidatore, cambi di direzione, cambi di proprietà, finte promesse”. La decisione di lasciare gli operai senza stipendio e senza ammortizzatori sociali per mesi si traduce in una strategia di logoramento. Il logoramento, nel gergo militare, è un’arma di guerra, pensata per stremare il nemico e costringerlo alla resa.

È per resistere a tutto questo che ha cominciato a farsi largo tra gli operai l’idea dello sciopero della fame. “È una forma di protesta distante dalla cultura dei metalmeccanici”, spiega Snupo. Ma è una extrema ratio. Snupo ricorda Gandhi, che usò lo sciopero della fame come forma di resistenza nonviolenta nel processo che portò all’indipendenza dell’India dall’impero britannico. “A un certo punto le provi tutte”, osserva con amarezza. Gli sembra incredibile che si debba arrivare a farsi del male “per farsi ascoltare in questo sistema sordo”.

“Lo sciopero della fame espone un’asimmetria”, spiega Salvetti. “Se la politica può temporeggiare quanto vuole, noi non abbiamo più tempo per farlo”. Non c’è tempo per temporeggiare quando ci sono famiglie senza stipendio. Non c’è più tempo per il temporeggiamento, per il silenzio della politica, per l’inerzia. È proprio l’asimmetria tra la determinazione di chi lotta contro l’ingiustizia e l’inerzia di chi potrebbe cambiare le cose a trasformare lo sciopero della fame in un’arma potente, capace di rivelare le conseguenze violente dell’incuria del potere.

Nel passato, questa capacità di rivelazione ha avuto esiti dirompenti. “Non sanno come affrontarlo, lasciarci morire a pochi centimetri li spaventa”, ha detto un detenuto politico irlandese della prigione di Mountjoy. Ma non sempre è finita così. Lo storico dell’impero inglese Kevin Grant, per esempio, racconta che il generale russo N.V. Mezentsev nel 1878 non si fece intenerire da chi digiunava. “Lasciateli morire; ho già ordinato bare per tutti loro”, disse.

Nella piana fiorentina, lo sciopero della fame è cominciato dopo tre anni di mobilitazione in cui gli operai hanno usato ogni strumento a loro disposizione per chiedere il pagamento degli stipendi, il commissariamento dell’azienda – che nel 2021 è stata ceduta all’imprenditore Francesco Borgomeo che l’ha chiamata Qf prima di metterla a sua volta in liquidazione – e una legge regionale in grado di fornire un soluzione alle numerose crisi industriali esistenti. “Nei primi due giorni l’attenzione dei mezzi d’informazione è stata molto alta”, spiega Salvetti, “poi si è cominciato a parlare solo di elezioni. ‘Perché avete fatto lo sciopero della fame proprio sotto le elezioni?’, ci chiedevano. E allora abbiamo capito ciò che già sapevamo, che le elezioni sono quel momento in cui non si può parlare di ciò che accade realmente”.

Un progetto di cui beneficerebbero tutti

Il paradosso di quanto sta succedendo all’ex Gkn è che gli operai hanno dovuto ricorrere allo sciopero della fame per chiedere alle istituzioni di appoggiare un progetto di reindustrializzazione di cui beneficerebbero tutti.

In un incontro alla Scuola Superiore Sant’Anna che si è svolto il 26 febbraio a Pisa, l’economista ed eurodeputato Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps, ha osservato che secondo i dati Inps il costo stimato della cassa integrazione destinata agli operai della Gkn dal 2022 a febbraio 2024 è stato di oltre 55 milioni di euro. Gli stessi operai, tuttavia, non chiedono un futuro di ammortizzatori sociali. Da tre anni chiedono un intervento pubblico dal costo assai inferiore, per sostenere il progetto Gkn for future, dunque per finanziare la fabbrica pubblica e socialmente integrata in grado di produrre energia pulita e mobilità sostenibile. Per questo il collettivo ha fondato una cooperativa, che svolge per lo più attività mutualistica, e ha creato una campagna di azionariato popolare che ha raccolto finora circa 791mila euro, con l’obiettivo di sostenere la creazione di un nuovo sito produttivo ecocompatibile e socialmente integrato.

Firenze, 18 maggio 2024. La manifestazione culminata con l’occupazione in tenda dei giardini della regione toscana. (Andrea Sawyerr)

Detto che gli ammortizzatori sono e devono rimanere un diritto (un diritto rispetto al quale, in questo caso, da almeno cinque mesi la proprietà è negligente), il progetto di reindustrializzazione elaborato dagli operai della Gkn con la collaborazione della rete di ricerca solidale e degli economisti del Sant’Anna è conveniente anche dal punto di vista delle finanze pubbliche, perché favorisce la ripresa produttiva del territorio senza ricorrere ad ammortizzatori sociali.

È per questo che strumenti legislativi come la legge Marcora del 1985, che facilita la creazione di nuove cooperative di lavoratrici e lavoratori di aziende in crisi o soggette a liquidazione, piacciono anche ai conservatori: perché agiscono sulle aree di crisi senza costi per lo stato.

Il progetto per l’ex Gkn non è solo un volano per la reindustrializzazione dal basso, ma consente un risparmio per le casse dello stato, permettendogli di difendere l’economia reale e il lavoro dalle delocalizzazioni selvagge, invece che condannare un altro territorio alla depressione. Un investimento pubblico nel sito della Gkn potrebbe “evitare il rischio di inaridimento industriale”, offrendo prospettive di lungo periodo anche agli altri territori che sembrano destinati alla disoccupazione dalla crescita dei contesti di crisi. È strabiliante come, nonostante questo, per molti mesi il governo e la regione si siano rimpallate le responsabilità politiche.

Lo sciopero della fame serviva proprio a mettere un freno a questo rimpallo. Nessuno sapeva, tuttavia, se avrebbe funzionato. Anche per questo, nei giorni scorsi, i medici che si trovavano al presidio erano preoccupati.

“Durante uno sciopero della fame ti rendi conto di cosa significa mettere la tua salute in gioco all’interno di una lotta e di quale sia il rischio”, dice Cristina, medica. “Gli operai mettono sempre in campo il massimo della propria forza e energia. Ma quando sei a digiuno da tanti giorni è rischioso investire tutta questa energia”. Un operaio ha dovuto sospendere lo sciopero della fame. “La notte ha avuto un malore, e siamo dovuti correre al pronto soccorso”. I medici evidenziano come sia tragico che si debba arrivare a tanto. La società sembra accorgersi di queste forme di lotta solo quando cominciano a nuocere severamente alla salute di chi le pratica. E questo crea una dinamica pericolosa.

Spiragli di luce

Domenica 16 giugno, al termine del tredicesimo giorno di sciopero, il Collettivo di fabbrica Gkn ha deciso di “sospendere a verifica” lo sciopero della fame. Lo hanno fatto perché, finalmente, l’iter della legge è partito. Il 14 giugno il presidente del consiglio regionale ha annunciato che la proposta di legge sulla reindustrializzazione è stata assegnata alla commissione sviluppo economico. È ora necessario che la giunta regionale ne garantisca la copertura finanziaria e che le audizioni valutino la fattibilità tecnico giuridica della norma. L’impegno, tuttavia, è quello di far procedere più velocemente possibile la proposta di legge regionale per la reindustrializzazione dell’ex Gkn. “Sembrava impossibile, e invece il dibattito sull’intervento pubblico, qui e ora, e sulle sue modalità è stato posto al centro”, scrivono gli operai nel loro comunicato. “La fabbrica socialmente integrata è una idea che entra nel gergo, nel novero del possibile. Non è un nuovo modello sociale, né chissà quale cambiamento. È una architettura sociale che ci permette di resistere oggi, ripartire domani. Sicuramente un potenziale esempio dirompente”.

In questi anni, la lotta della ex Gkn è diventata un simbolo di resistenza contro la delocalizzazione. La legge regionale potrebbe offrire un modello politico di reindustrializzazione dal basso da replicare in altri territori. Le crisi stanno aumentando, non solo a causa di processi di delocalizzazione che coinvolgono grandi aziende come Stellantis o La Perla, ma anche perché la combinazione di aumento dei costi dell’energia, del trasporto e del denaro ha aumentato il rischio di insolvenza per molte aziende e aumentato il ricorso alla cassa integrazione, arrivata a 48 milioni di ore a inizio 2024.

Il Collettivo di fabbrica ha tracciato una strada di resistenza replicabile, un patrimonio prezioso per un paese che sprofonda rapidamente verso la deindustrializzazione e il lavoro povero. Perché questa strada diventi un’esperienza concreta, bisogna continuare a tenere alta l’attenzione sulla vertenza. Rimane aperto il problema degli stipendi, che vanno pagati subito. E il commissariamento della QF. Rimane l’assenza del governo, scrivono gli operai nel loro comunicato. A pochi giorni dal 9 luglio 2024, che segnerà i tre anni di assemblea permanente del Collettivo di fabbrica, la sfida è ancora la stessa: “Reggere, la tendata, l’assemblea permanente, il presidio e lanciare nuove azioni di lotta. Stateci appiccicate e appiccicati”, concludono. “Fino a che ce ne sarà”.

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