Un effetto indiretto delle crisi in corso nel mondo è la nascita di nuove alleanze, o pseudo tali: non solo la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina e il proprio conseguente isolamento da parte della comunità internazionale, si è avvicinata alla Cina formando, agli occhi dell’occidente, se non un nuovo “asse del male”, almeno una “compagnia dei cattivi” che si propone come guida di un ordine mondiale alternativo. Ma le circostanze hanno portato Mosca a riesumare un leader che pareva ormai in caduta libera: Kim Jong-un.
“È sopravvissuto a Trump, alle sanzioni e alla pandemia: chi al suo posto non si sentirebbe trionfante?”, riassume Andrei Lankov, veterano tra gli esperti di Corea del Nord, docente universitario a Seoul e analista del sito specializzato NK News. Il leader nordcoreano sta vivendo, suo malgrado, un inatteso momento d’oro. Il viaggio nel Far East russo lo scorso settembre – la prima trasferta per Kim dal 2019, preceduta, a luglio, dalla visita del ministro della difesa russo Sergej Šojgu a Pyongyang – e l’accoglienza che gli ha riservato il presidente russo Vladimir Putin l’hanno tolto dall’isolamento in cui era riprecipitato dopo l’illusione dei faccia a faccia con Donald Trump nel 2018 e nel 2019. Per la prima volta, allora, Kim era stato trattato da pari a pari dal presidente del paese più potente del mondo, i cui predecessori erano sempre stati molto attenti a evitare qualsiasi forma di riconoscimento, anche informale, del giovane dittatore.
Dopo la fine dell’Unione Sovietica e dello stretto rapporto di dipendenza che fino ad allora aveva legato Mosca e Pyongyang, tra i due paesi era rimasto il gelo. La Corea del Nord si era avvicinata alla Cina, che più per calcolo e opportunismo che per sincera vicinanza ha fatto finora da garante della sopravvivenza del regime dei Kim principalmente mantenendo gli scambi commerciali con il paese che dal 2006 è sottoposto a varie sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ora che anche la Russia tende la mano a Pyongyang, la capacità dei paesi occidentali di far pressione sulla Corea del Nord perché rinunci al suo programma nucleare è minima. Da quel che dicono fonti statunitensi, l’accordo tra i due paesi si sarebbe finora concretizzato in “mille container di munizioni e equipaggiamento militare” arrivati in Russia dalla Corea del Nord. In cambio Pyongyang punterebbe ad “aerei da combattimento, missili terra-aria, mezzi blindati e strumenti per la fabbricazione di missili balistici”.
Per Pechino questa nuova intesa tra Mosca e Pyongyang ha dei pro e dei contro, scrive l’analista Wooyeal Paik su Diplomat. Innanzitutto, Pechino ha evitato accuratamente di fornire armi alla Russia per mantenere una distanza da Mosca agli occhi del resto del mondo, ma al contempo non vuole che la Russia perda in Ucraina, dunque le fa comodo che sia Pyongyang a passarle le munizioni di cui ha bisogno. Inoltre una Corea del Nord militarmente più avanzata grazie all’assistenza tecnologica di Mosca fa comodo a Pechino come leva contro il fronte occidentale nella regione, formato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati asiatici. Del resto, però, la Cina non vuole perdere il suo ruolo di unico paese in grado di influenzare il regime nordcoreano, che a sua volta si starà volentieri liberando dell’abbraccio esclusivo di Pechino.
La Cina è in una posizione ambigua perché non vuole essere coinvolta in un’alleanza strategica nell’Indo-Pacifico con i due reietti in un nuovo asse del male. Šojgu aveva infatti prospettato l’ipotesi di esercitazioni navali congiunte dei tre paesi. L’incontro positivo di mercoledì tra Joe Biden e Xi Jinping dimostra quanto Pechino ci tenga a mantenere con gli Stati Uniti rapporti cordiali, se pur da rivali.
In ogni caso Kim sta solo guadagnando dalla situazione. E anche se il suo popolo è sempre più affamato, può contare sull’aiuto dei due paesi per “portare l’economia a un livello sufficiente da soddisfare le necessità di base di una popolazione abituata a standard di vita molto bassi”, per usare le parole di Benjamin Silberstein, direttore di North Korean Economy Watch citato dal Financial Times.
Questo articolo è tratto dalla newsletter In Asia.
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