La tortura può essere legittima e perfino catartica? Lo spettatore della serie tv americana 24 è portato a rispondere di sì. 24 contiene numerose scene di sevizie su “terroristi” esercitate da Jack Bauer (il personaggio principale, interpretato da Kiefer Sutherland) e insiste con forza sulla necessità di queste azioni estreme per salvare un grandissimo numero di vite umane. Di solito un evento catastrofico incombe e tutte le altre tecniche per far parlare il cattivo si sono mostrate improduttive (”Non ho più tempo: dimmi dov’è la bomba!”).

In quel campo di battaglia che è l’immaginario, la serie prodotta da Fox asserisce in primo luogo l’efficacia della tortura e quindi contribuisce a legittimare l’uso e il significato progressivo della forza più dura nella globale guerra al terrore dell’amministrazione statunitense. La prima puntata, infatti, va in onda negli Stati Uniti meno di due mesi dopo l’11 settembre 2001 e le stagioni di maggior successo coincidono grosso modo con la presidenza di George W. Bush.

“Ora me lo dirai: cosa deve succedere alle 8?!”, Jack Bauer entra di forza nella sala interrogatori e spara in una gamba a Thomas Sherek. Prima puntata della quarta stagione di 24. (Dr)

Stiamo forse dando troppa responsabilità a un prodotto di intrattenimento? “L’America vuole che Jack Bauer combatta la guerra contro il terrore. È un patriota”: le parole di Joel Surnow, co-creatore di 24, sono solo una furba speculazione?

Del resto Howard Gordon, sceneggiatore di 24 e “showrunner” dal 2006, dice cose di segno apparentemente opposto: “Credo che le persone sappiano distinguere tra una serie televisiva e la realtà.” Le due dichiarazioni compaiono in un profilo che il New Yorker ha dedicato alla serie nel 2007 e non sono in contraddizione, anzi vanno perfettamente d’accordo alla luce di una terza affermazione rintracciabile nello stesso articolo.

Tony Lagouranis, un ex addetto agli interrogatori dell’esercito statunitense nella guerra in Iraq, afferma che i dvd di 24 circolavano molto tra i soldati e aggiunge: “Guardano le puntate, poi entrano nella sala interrogatori e fanno le cose che hanno appena visto sullo schermo.” In questo caso non c’è indistinzione o inconciliabilità: l’immaginario rappresenta il modello ideale a cui la realtà tende (da Whatever it takes).

Ogni stagione di 24 racconta un giorno, ogni episodio dura, compresa la pubblicità, un’ora; e gli “eventi avvengono in tempo reale”. Il Grande Intrigo da thriller geopolitico dell’intera stagione è suddiviso in 24 capitoli, con numerose vicende che s’incrociano all’interno di ogni singola puntata. Il ritmo è serratissimo e la tensione è alimentata senza sosta da conti alla rovescia che vogliono convincere lo spettatore dell’inevitabilità delle dure scelte rappresentate. Come spiega Slavoj Žižek:

Un tale senso di urgenza ha una dimensione etica. La pressione degli eventi è così prepotente, la posta in gioco è così alta, che c’è bisogno di una certa sospensione delle ordinarie preoccupazioni morali; mostrare tali preoccupazioni quando sono in gioco milioni di vite significa infatti fare il gioco del nemico

Jack Bauer non compie sevizie perché glielo impone la legge o il governo; ma nemmeno l’essere volutamente un seviziatore lo degrada, al contrario è suo merito speciale ignorare le leggi vigenti in nome di un principio più alto. Per il bene della nazione americana, anzi dell’intera umanità, si assume la responsabilità di atti terribili e ne porta il peso. All’inizio della settima stagione, nell’episodio trasmesso negli Stati Uniti l’11 gennaio 2009 – cinque anni dopo lo scandalo delle torture nella prigione di Abu Ghraib e in un clima molto diverso dagli entusiasmi del 2003 quando lo striscione con su scritto “Missione compiuta” campeggiava alle spalle di George W. Bush sulla portaerei Uss Abraham Lincoln – Jack risponde a un’interrogazione del senato sui suoi metodi (da Alan Seppinwall, The revolution was televised):

‘Sono al di sopra della legge?’, domanda Jack, mostrando disprezzo per i politici che osano giudicarlo. ‘No, signore, sono più che disposto a essere giudicato dal popolo che voi dite di rappresentare… Ma per favore non state lì seduti con lo sguardo furbo ad aspettare che mi penta delle decisioni che ho preso. Perché, signore, in verità, non sono pentito’

24 non solo porta sullo schermo la “lotta per la democrazia” di Bush e ne assolve le “tecniche di interrogatorio intensificato”, ma vuole pure convincerci di come fosse tanto utile quanto inevitabile andare oltre. Accade quindi che per un largo pubblico un effetto di lungo periodo di questo e altri prodotti culturali a esso vicini, cominciando dall’informazione di FoxNews, sia quello di disinnescare in anticipo la bomba di un’indagine seria e completa sulle torture statunitensi compiute nel mondo reale dopo l’11 settembre. L’immoralità della tortura è presentata come l’atto più morale in questo contesto, come “ciò che deve essere fatto”.

Subito dopo la tortura e la confessione di Sherek. Jack ha fatto la cosa giusta ma un secondo troppo tardi. Tenta invano di avvertire il segretario della difesa. (Dr)

Jack Bauer, spiega Gordon nel libro di Seppinwall, è “un personaggio catartico”. Noi spettatori dobbiamo infatti comprendere, sentire, condividere la sua determinazione di sparare nella gamba a un uomo in manette o di seviziare un ferito, perché la catastrofe incombe, non abbiamo più tempo, non possiamo lasciare che accada un altro 11 settembre! La serie preme anche su di noi, ci “tortura” con la domanda: “Se potessi evitare lo scoppio della bomba atomica, cogliendo l’attimo e tormentando il cattivo, forse ti tireresti indietro?”.

Questo tipo di narrazione ricattatoria e adrenalinica nasconde l’inverosimile e ci porta così a cadere dentro il sistema di riferimento di 24, cioè in una lotta senza sosta contro il Male Assoluto dove ogni dubbio sulla validità pratica della tortura è degradato a freno culturale – se non emotivo – da rilasciare, a una pia menzogna inadatta ai tempi che i terroristi hanno reso così crudeli.

“Fai quello che devi fare”. Jack Bauer viene autorizzato dall’agente speciale dell’Fbi Renee Walker a torturare un ferito. Settima stagione, episodio 22. (Dr)

Su 24, negli anni della presidenza George W. Bush, si sono levate voci critiche come quella di Tony Lagouranis, ma sono state sovrastate dal grande successo di pubblico e pure da una legittimazione culturale al più alto livello. Un solo esempio, da un articolo del 2008 di Newsweek intitolato “Come Jack Bauer ha plasmato la policy americana sulla tortura”:

Perfino il giudice della corte suprema Antonin Scalia, parlando in Canada la scorsa estate, mostra un certo talento per questo scambio informale tra la televisione e la Costituzione. ‘Jack Bauer ha salvato Los Angeles… Ha salvato centinaia di miglia di vite’, dice Scalia. ‘E voi condannerete Jack Bauer?’

Tutta la serie dedica molte risorse a persuaderci di un punto fondamentale: Jack Bauer, il torturatore salvatore, vorrebbe solo vivere in pace, non è un fanatico assassino, non è uno psicopatico assetato di sangue, anzi le azioni che è costretto a compiere lo toccano nel profondo. Stephen King, un amante di 24 che qualcosa sa sul potere delle storie e sul terrore, ha scritto nel 2007:

C’è anche un sottotesto penosamente euforico che suggerisce: se le cose vanno così male, allora dico che possiamo torturare chiunque! Anzi abbiamo l’obbligo di torturare per proteggere il paese! Urrà! E tuttavia il viso di Jack Bauer – sempre più segnato, sempre più tirato – indica che le misure estreme alla fine incidono sull’animo umano

Jack Bauer nella prima puntata della quinta stagione. (Dr)

Il volto scavato di Jack Bauer mostra il suo tormento interiore e i segni degli errori commessi nella lotta per la democrazia. Bauer è l’eroe che sacrifica se stesso a un bene più grande, colui che deve decidere, agire e quindi vivere sopportando quanto fatto per proteggerci. Ma c’è di più: nel mondo reale della propaganda e delle menzogne sulla guerra al terrore quel volto è stato a lungo proprio il ritratto di Dorian Gray dell’amministrazione Bush e di buona parte della stampa statunitense impegnata a negare l’esistenza di torture sistematiche.

E oggi, dopo che la commissione del senato americano sui servizi segreti ha pubblicato un rapporto sull’uso della tortura fatto dalla Cia negli anni successivi all’11 settembre, quel volto assolve un’altra funzione per molti spettatori fedeli: mostra negli occhi intensi e tristi che già allora si sapeva tutto e riafferma la superiorità morale dei “torturatori a fin di bene”.

Prigione di Abu Ghraib. (Dr)

Quello che forse dobbiamo ammettere allora è l’impossibilità di rimanere “semplici spettatori”. Guardando l’appassionante 24 non possiamo dimenticare neppure per un attimo gli effetti che l’immaginario continua a produrre sul mondo reale, e non possiamo permetterci nessuna “sospensione delle normali preoccupazioni morali” se non diventando complici.

Grazie a prodotti come 24 una parte di pubblico reagisce infatti con una scrollata di spalle di fronte al rapporto del senato, se la prende con le anime belle che con comprendono la gravità dei pericoli corsi e soprattutto si chiede cosa ci sia da tirare fuori ancora: si sapeva già tutto. Un filo rosso unisce il “Lato Oscuro” accennato nei discorsi del vicepresidente Dick Cheney (”Dobbiamo anche lavorare, però un po’ nascosti. Dobbiamo passare il tempo nell’ombra, nel mondo dell’intelligence. Se vogliamo riuscire, molto di quel che avremo da fare qui andrà fatto in silenzio, senza discussioni, usando fonti e metodi disponibili alle nostre agenzie di intelligence”, 16 settembre 2001) e il “Lato Oscuro” illuminatissimo nelle tante stagioni di 24.

Secondo questa linea di pensiero, meglio sarebbe ricordare che solo la sicurezza di oggi, prodotta dai Cheney, dai Bush e dai Bauer di questo mondo che non hanno esitato a lavorare nel Lato Oscuro, rende possibile la stessa indagine su quelle “torture”. L’urgenza etica della risposta, sopra ricordata da Žižek, è infine venuta meno e lascia di nuovo spazio alle ordinarie preoccupazioni morali. Proprio per garantirle oggi, si è fatto allora quello che si doveva fare e – come ha chiarito Cheney – lo si rifarebbe subito. Al contrario di Bush, Jack Bauer pare ancora una volta aver compiuto la missione, per tutti e due.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it