Il 24 febbraio è stato raggiunto un accordo tra la Grecia e l’eurogruppo (i ministri delle finanze dell’eurozona) per prolungare di quattro mesi il programma di aiuti al governo di Atene. L’intesa è arrivata dopo estenuanti trattative, alla fine delle quali il premier Alexis Tsipras ha dovuto rinunciare alle promesse fatte agli elettori, in particolare a quella di porre fine ai duri programmi di austerità imposti dalla troika, il gruppo di creditori formato dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale.

Le proposte iniziali di Atene sono state respinte con decisione sia dai paesi creditori – in particolare la Germania, i Paesi Bassi e la Finlandia – sia dagli altri paesi dell’euro, come l’Irlanda e il Portogallo, che sono usciti dal programma di aiuti della troika subendo una forte dose di austerità e riforme imposte dall’esterno senza particolari sconti. Questo accordo, come tutti quelli approvati in cinque anni di crisi della moneta unica, propone ancora una volta lo schema secondo il quale un paese indebitato è costretto a rinunciare alla sua autonomia decisionale seguendo indicazioni imposte dall’esterno. Subito dopo la firma fioccano le analisi sui contenuti economici, ma poche volte si fa riferimento a un aspetto psicologico e alle sue conseguenze nella società: quello dell’umiliazione subita dai debitori e inflitta dai creditori. Uno studioso che si occupa da anni di questo tema è il sociologo britannico Dennis Smith.

In una conferenza tenuta nel 2012 e che oggi vale la pena di riprendere, Smith ha parlato di un ritorno del fattore umiliazione in Europa con la crisi dell’euro. L’Unione europea è nata come un progetto per il “superamento dell’umiliazione”, cioè un’iniziativa per costruire un’era di riconciliazione, libertà e benessere tra nazioni che da secoli si scontravano in guerre sanguinose. Per molti paesi ha rappresentato la possibilità di superare le ferite della storia: il nazismo per i tedeschi, il fascismo per gli italiani, la giunta militare per i greci.

“Purtroppo”, osserva Smith, “ora sembra che l’umiliazione stia tornando su larga scala nel continente europeo. La crisi ha prodotto la perdita di posti di lavoro, di posizione sociale, di reputazione, di credito. E nel momento del bisogno greci e irlandesi sono stati costretti, con grande riluttanza, a chiedere aiuto per ripagare i loro debiti. Non hanno ricevuto un incoraggiamento fraterno, ma un rimprovero paternalista. Nella crisi dell’eurozona l’Unione europea si è rivelata un genitore oppressivo, una matrigna cattiva”.

Chi viene umiliato, spiega Smith, si sente vittima di qualcosa che non meritava: vede ridotta la sua autonomia, subisce ordini dall’alto e alla fine viene emarginato. Le sue reazioni possono variare: si va dalla fuga (per esempio l’emigrazione dal paese in crisi) alla ricerca di una conciliazione fino ad arrivare alla resistenza, alla sfida o alla ribellione aperta. Il modo di reagire è influenzato da “fattori come le risorse culturali e le abitudini di una persona o di un popolo”. Non a caso greci e irlandesi si sono comportati diversamente. Gli irlandesi hanno risposto in parte con la fuga dal loro paese e in parte hanno cercato una “conciliazione pragmatica” basata sulle riforme e sull’applicazione delle dure misure di austerità. Secondo Smith, la reazione “più morbida” in Irlanda è dovuta al fatto che gli irlandesi hanno maturato “meccanismi di gestione dell’umiliazione quando per decenni sono stati alle prese con il dominatore inglese”. In Grecia invece la crisi ha prodotto uno shock più profondo, dettato anche da un maggior livello di “orgoglio nazionale”. Nel suo caso c’è stata una “maggiore difficoltà ad accettare la perdita del benessere”, che ha generato una risposta più violenta (politici aggrediti, edifici governativi incendiati) unita a propositi di rivalsa.

Nella crisi dell’euro si dovrà tenere conto del fattore umiliazione e delle sue conseguenze sociali e politiche. Queste idee cominciano a circolare anche tra i conservatori tedeschi, tra i più fieri sostenitori dell’austerità. Significativo è per esempio l’intervento di un importante economista, Marcel Fratzscher, sul quotidiano conservatore Die Welt. Fratzscher scrive: “Molti tedeschi hanno reagito con compiacimento al cedimento della Grecia, considerandolo una capitolazione del governo di Atene. Ma in questo modo noi tedeschi siamo sul punto di ripetere il più grave errore degli ultimi cinque anni. Gli altri due salvataggi sono falliti perché né il governo greco né il popolo greco si sono identificati con delle riforme imposte dall’esterno e hanno fatto poco per rispettare i pagamenti, sfruttando ogni occasione per scagliarsi contro la troika e addossare ogni colpa all’Europa e all’euro. La Grecia supererà la crisi solo quando si prenderà la responsabilità delle riforme. E questo può succedere se anche il governo di Atene esce dai negoziati come vincitore”.

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