Shimon Peres, 93 anni, ha avuto un ictus. Se fosse una persona qualunque, ci limiteremmo a dire che tutti meritano di invecchiare in modo dignitoso. Ma Peres non è una persona qualunque, come dimostra la preoccupazione del mondo per le sue condizioni di salute. Immagino che sia così anche in Italia, dove probabilmente viene presentato come un uomo che ha lavorato per la pace.

E dato che Peres è una figura pubblica, non è inopportuno parlare del suo contributo al disastro in cui ci troviamo. Negli anni settanta ha sostenuto il movimento dei coloni. Negli anni novanta, come ministro degli esteri, è stato artefice degli accordi di Oslo, che hanno consolidato la realtà delle enclave palestinesi. Gli insediamenti e le enclave sono due facce della stessa medaglia, a dimostrazione di quanto sia stata coerente la sua visione delle cose.

Negli anni settanta si parlava di “compromesso funzionale”: Peres e Moshe Dayan immaginavano una Cisgiordania in cui la Giordania avesse autorità sulla popolazione araba e Israele sui coloni. Negli anni novanta Peres ha modificato leggermente la sua posizione e ha proposto che solo la Striscia di Gaza diventasse “stato palestinese”, mentre gli abitanti della Cisgiordania avrebbero avuto una limitata autonomia.

Solo quando la realtà delle enclave è diventata un fatto compiuto, Peres si è detto sostenitore di uno stato palestinese in Cisgiordania. Ma se restano le colonie non ci sarà mai la pace. Avremo solo una variante dell’apartheid.

Amira Hass sarà al festival di Internazionale a Ferrara dal 30 settembre al 2 ottobre 2016.
Questa rubrica è stata pubblicata il 16 settembre 2016 a pagina 24 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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