La commissione lavoro della camera, presieduta da Cesare Damiano, ha concluso la visione degli emendamenti al Jobs act, atto II, e ha dato il via libera al disegno di legge. Il provvedimento è arrivato in aula a Montecitorio venerdì 21 novembre.
L’interesse dei mezzi di informazione si è concentrato sull’ulteriore revisione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, già ampiamente depotenziato dalla riforma Fornero che ha introdotto la possibilità del licenziamento individuale per ragioni economiche (con prova a carico del lavoratore, nel caso di contestazione del licenziamento).
Il pomo della discordia riguarda la particolare fattispecie del licenziamento disciplinare, già regolato dallo stesso statuto dei lavoratori. Intenzione del governo Pd-Ncd era favorire un ulteriore liberalizzazione, ma di fatto nulla è stato deciso.
Con una prassi già consolidata, si è ritenuto opportuno rinviare il tutto ai decreti attuativi che il governo si impegna a varare entro il 15 gennaio, senza alcuna possibilità di contradditorio: una sorta di “delega in bianco”.
Si tratta, di fatto, di un “attestato di fiducia” all’interno di un provvedimento più complessivo, che a sua volta, con buone probabilità, passerà alla camera con un nuovo voto di fiducia, così come avvenuto al senato.
E con questo sono 48 i voti di fiducia chiesti dal governo Renzi. Il potere legislativo del parlamento è ormai del tutto esautorato e sempre più sussunto dal potere esecutivo, con buona pace della democrazia e di Tocqueville.
Si tratta del capolinea di un iter legislativo che porta modificazioni strutturali al mercato del lavoro italiano, cominciato con l’approvazione, ormai in forma definitiva, della legge 78 del maggio di quest’anno che ha totalmente liberalizzato il contratto di lavoro a tempo determinato e il contratto di apprendistato. A ciò si è aggiunto il piano “garanzia giovani” , che di fatto istituzionalizza il lavoro gratuito, sul modello dell’accordo per Expo Milano 2015 siglato dal primo accordo sindacale (luglio 2013) che consente appunto il ricorso al lavoro non pagato.
Siamo così alla quadratura del cerchio. La precarietà si istituzionalizza. La prestazione lavorativa è sottoposta al controllo, il demansionamento legalizzato. E non sarà certo l’aumento di 500 milioni di euro per gli ammortizzatori sociali (una goccia nel mare della povertà precaria), né l’istituzione di un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (dove per i primi tre anni vi è totale libertà di licenziamento), per di più rivolto a personale qualificato che comunque verrebbe assunto, a rendere più dolci le pillole amare del Jobs act.
Andrea Fumagalli è un economista italiano. Insegna all’università di Pavia e all’università di Bologna.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it