Dopo il fallimento del programma di ricollocamento dei richiedenti asilo dalla Grecia e dall’Italia negli altri paesi europei, l’attenzione dei leader politici si è spostata sulla Turchia e sulla Grecia. Il piano dell’Unione europea è di bloccare migranti e profughi in Grecia e poi di rispedirli nei campi profughi turchi. La Turchia ha intenzione di firmare accordi bilaterali con 14 paesi per consentire il rimpatrio dei migranti.

Ieri il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è stato a Istanbul per assicurarsi che l’accordo sui migranti tra Ankara e Bruxelles vada in porto e venga firmato nel vertice di lunedì 7 marzo. L’intesa, secondo le indiscrezioni, prevede tra l’altro che i profughi siriani, soccorsi dai mezzi navali della Nato in servizio nel mar Egeo, siano rimandati nei campi profughi in Turchia. Anche i migranti già arrivati in Grecia, che non sono di nazionalità siriana, saranno rimandati in Turchia.

In cambio Ankara riceverà aiuti umanitari per 3 miliardi di euro e otterrà che siano riaperti i negoziati per la sua adesione all’Unione e la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che vogliono entrare in Europa.

Il 3 marzo ad Atene, dopo un incontro con il primo ministro Alexis Tsipras, Tusk si era rivolto ai cosiddetti migranti economici con un appello: “Da ovunque arriviate: non venite in Europa. Non credete ai trafficanti. Non rischiate la vostra vita e i vostri soldi. È tutto inutile. La Grecia non sarà più un paese di passaggio, né lo diventeranno altri paesi europei. Le regole di Schengen torneranno attive”.

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L’idea originaria dell’accordo tra Bruxelles e Ankara era quella d’impedire a tutti i migranti non siriani di raggiungere la Grecia, bloccandoli prima o rimandandoli in Turchia. Tuttavia una proposta del governo olandese emersa negli ultimi giorni estenderebbe anche ai profughi siriani il programma di respingimento.

Le promesse mancate dell’Europa

La Grecia si è trasformata in un enorme campo profughi e il rischio di una crisi umanitaria nel paese è tutt’altro che remoto. La decisione dell’Austria, in piena campagna elettorale, di stabilire un tetto giornaliero di richiedenti asilo nel proprio territorio, ha spinto altri paesi sulla rotta balcanica a chiudere le frontiere in maniera unilaterale.

Secondo l’Unhcr, “le politiche irresponsabili” di questi paesi stanno provocando inutili sofferenze ai migranti e stanno violando il diritto internazionale. Al momento sono 24mila i migranti e i profughi che in Grecia non hanno un alloggio e faticano ad accedere ai servizi di prima necessità. Solo a Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, 8.500 persone si trovano in difficoltà, 1.500 persone dormono all’aperto.


Solo qualche mese fa sembrava che l’Europa potesse trovare una linea comune per accogliere migliaia di profughi in fuga da guerre, dittature e terrorismo, ma l’avanzata dei populismi e delle destre xenofobe, la mancanza di coraggio dei governi e la polarizzazione dell’opinione pubblica ha compromesso la possibilità di trovare una risposta comune.

La riforma del regolamento di Dublino e il ricollocamento dei richiedenti asilo all’interno dell’Unione sembrava l’unica strada percorribile l’estate scorsa, invece l’Europa ha deciso di andare in un’altra direzione: il ripristino dei controlli alle frontiere, la selezione dei profughi sulla base della nazionalità e i respingimenti verso paesi extraeuropei. Una strada disumana e senza futuro.

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