“Quello che non ci uccide ci rende più forti”. L’ha scritto nel 1888 il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Come segnala maliziosamente questo curioso video, l’aforisma ha ispirato generazioni di musicisti pigri, appartenenti ai più diversi generi musicali, dal benevolo pop all’ispido metal.
Se non siete musicisti e non state componendo una nuova canzone, però, l’idea del rafforzarsi superando difficoltà potrebbe tuttavia sembrarvi, e a ragione, potente.
Per ribadire il concetto e contrastare il video precedente, guardate che cosa riesce a comunicare, sulle note di Stronger di Kelly Clarkson, la straordinaria gente (medici e pazienti) del Seattle Childrens Hospital.
Dite che solo gli americani possono fare una cosa così? Non è vero: questa, come un abbraccio ideale tra Italia e Stati Uniti, è l’altrettanto straordinaria Oncoematologia pediatrica di Parma. Braccialetti rossi, fuori dalla fiction televisiva.
Cita la massima di Nietzsche già nelle prime pagine un recente libro di Anna Oliverio Ferraris e Alberto Oliverio, intitolato Più forti delle avversità. Parla di resilienza: la capacità psicologica di riprendersi reagendo ai traumi e agli errori.
È ciò che i filosofi Epitteto e Marco Aurelio chiamavano “forza d’animo”. Il termine resilienza (ricopio per voi da pag. 15) “è mutuato dalla scienza dei materiali e indica la capacità di resistere e conservare la propria struttura o forma iniziale: materiali compressi, schiacciati e deformati riacquistano la propria forma originaria se liberati dal peso che li sovrasta e dalla deformazione. Applicata ai sentimenti e alla struttura della personalità la parola (…) indica la capacità di riemergere da esperienze difficili mantenendo un’attitudine sufficientemente positiva nei confronti dell’esistenza”.
La buona notizia è che non si tratta di una dote eccezionale ma – dicono gli autori – è una caratteristica della personalità piuttosto diffusa: c’entrano senso di identità, fiducia in se stessi, forti convinzioni, capacità di avere relazioni, di creare nuovi legami con altre persone e di solidarizzare, di condividere, di restare aperti, di coltivare l’ottimismo e di immaginare. Non a caso, la resilienza è una componente (e anche un dono) della creatività.
Tra l’altro, uno degli ingredienti più interessanti della resilienza è lo humour. La sua capacità di ridurre lo stress è stata provata da diversi studi svolti in differenti parti del mondo, sia in situazioni oggettivamente complicate sia in condizioni più quotidiane. Per esempio, si è rilevato che gli studenti più dotati sono anche più capaci degli altri di attivare lo humour per gestire la tensione connessa con le prove scolastiche.
Ed ecco due ulteriori cose notevoli: lo humour svolge una funzione positiva a patto di non essere autodenigratorio o aggressivo. E può essere allenato e incoraggiato: gruppi di volontari addestrati a – diciamo così – prenderla con spirito si sono dimostrati, anche a distanza di tempo, più ottimisti e meno depressi e ansiosi di gruppi non addestrati.
Più forti delle avversità parla anche di “scuole resilienti” e di “aziende resilienti”: nel primo caso, un insegnante bravo e preparato è in grado di compensare la situazione familiare carente o lo svantaggio sociale dei ragazzi a patto, dicono gli autori, di “possedere le seguenti qualità: autenticità, considerazione per l’alunno, empatia”. È l’effetto Pigmalione, che non si estende solo agli alunni svantaggiati ma all’intera classe, migliorandone sostanzialmente i risultati.
Le caratteristiche che rendono, invece, resilienti le aziende sono un forte senso di identità, la capacità di adattarsi al cambiamento storico-sociale, la vocazione a investire in settori diversi anche a rischio di qualche fallimento, l’alto grado di libertà decisionale dei manager, l’essere permeabili al mondo esterno e ai pareri scomodi, la capacità di imparare, l’attitudine a reinventarsi.
A proposito di manager, però, occhio alle personalità narcisistiche e carismatiche: “possono portare il gruppo a clamorosi insuccessi, proprio in quanto sono meno disposte a mettersi in discussione, a cogliere segni importanti nell’ambiente, a modificare in corso d’opera una linea d’intervento; il gruppo, d’altronde, è ormai abituato a seguire un leader infallibile. La storia, come indicano alcuni recenti e clamorosi fallimenti di grossi gruppi e aziende, è piena di questi esempi”.
Infine “io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima” è il credo dei Sapeurs, una “subcultura sartoriale” cresciuta nella Repubblica Democratica del Congo come espressione di disobbedienza civile al regime di Mobutu. Sono finiti sulle pagine dei principati giornali del mondo, e anche su quelle delle maggiori riviste di moda e in uno spot della birra Guinness. Guardate che meraviglia.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it