Per carità: si tratta solo di un gioco, e non ho intenzione di candidare le parole che seguono a un ingresso nei vocabolari della lingua italiana. Le parole medesime, però, sono un discreto pretesto per segnalarvi alcune deformazioni del pensiero e del comportamento nelle quali può capitare a tutti di imbattersi. Sono difficili da individuare anche perché non esiste un termine specifico per nominarle. E poi, magari, questa lista vi fa venire voglia di costruirvene una tutta vostra.
Altrimentare (altrimentazione, altrimentato): comportamento diffuso. Consiste nel fare una “diversa” stima numerica, modificando opportunisticamente i dati per guadagnarsi qualche forma di vantaggio nel momento in cui, sui numeri, bisognerà negoziare, o per pararsi le spalle prima di prendersi un impegno.
Altrimentare è diverso dall’alterare, falsificandoli, dati certi, ed è più insidioso. Si può altrimentare un tempo di consegna per garantirsi margini più ampi. Si può altrimentare un preventivo, gonfiandolo nella presunzione che il cliente comunque pretenderà un forte sconto (e, se non lo pretende, tanto meglio). Si può anche altrimentare al ribasso per vincere una gara: a cose fatte ci si rifarà con le varianti in corso d’opera e con cento altri ingegnosi espedienti.
Si può altrimentare una valutazione scolastica, assegnando un voto inferiore al merito perché sennò quel pigrone dello studente smette di impegnarsi, o superiore al merito perché sennò lo studente o la sua famiglia o chiunque altro potrebbero rompere le scatole.
Nel mondo altrimentato non esistono stime plausibili ma solo rincorse a chi altrimenta di più, prima, e in modo più accurato. Naturalmente, ad altrimentare non sono solo i singoli cittadini e le imprese e si può nutrire il fondato sospetto che, per motivi di opportunità, siano altrimentati, per esempio, i dati previsionali sul pil o quelli sull’occupazione.
Un caso speciale, e più accettabile perché non si applica a dati ma a risposte nel contesto di relazioni interpersonali non misurabili numericamente, è l’altrimentazione di cortesia: in questa, sembra, gli inglesi sono maestri.
Discritico (discritica, discriticare): abbiamo già una serie di aggettivi utili a descrivere le diverse sfumature dell’atteggiamento e della qualità del giudizio di chi mette (o non mette) in questione qualcosa. Dunque, parliamo di atteggiamento critico o acritico, o ipercritico. Tuttavia, manca un aggettivo capace di individuare la più molesta, inutile e deleteria forma della critica: è discritico chi non solo esercita accanitamente e costantemente la critica ipercriticando, ma ipercritica in modo del tutto acritico.
Per dirla semplice: è discritico criticare cambiando costantemente le carte in tavola e producendo obiezioni alle quali è impossibile rispondere perché sono, nel contesto dato, del tutto prive di senso. È discritico generalizzare casi particolarissimi, o mettere in crisi una regola generale sensata e accettata tirando in ballo una singola, marginale eccezione (quella proverbiale, che invece dovrebbe servire a confermarla, la regola). È discritico non ascoltare perché non si riesce a smettere di parlare e, soprattutto, non si riesce ad astenersi dall’ascoltare se stessi.
Scontemporaneo (scontemporaneità, scontemporaneamente): ciò che affannosamente persegue una (imprescindibile?) contemporaneità ma lo fa in maniera fallimentare, conformandosi a mode recenti ma già in declino, o appena appena passate.
Fastidioso come un lieve ma percepibile fuori sincrono in un film doppiato, imbarazzante come un commensale che si pulisce i denti con il coltello o l’orecchio con l’unghia del mignolo, provinciale come un applauso al termine di un funerale o di un atterraggio, lo scontemporaneo scontenta tutti: i candidi e gli smaliziati, i tradizionalisti e i cultori del futuro prossimo, i timidi e gli audaci. La scontemporaneità, infatti, è sempre un po’ troppo e ancora troppo poco, e lo è, ahimé, scontemporaneamente.
Sfattivare, (sfattivarsi, sfattivo): darsi da fare con l’unico obiettivo di mostrare a tutti gli interessanti che ci si sta dando da fare. Si può sfattivare un processo disfacendo quanto si è appena fatto per poi rifarlo peggio, in modo che sia necessario disfarlo di nuovo: e così, all’infinito.
Si può sfattivare un’analisi producendo una serie di documenti tanto ponderosi quanto illeggibili. Si può sfattivare un percorso decisionale indicendo riunioni tanto affollate quanto lunghe e inconcludenti: riuscirci è semplice perché basta tener conto della rule of seven (in un gruppo, ogni aggiunta di un singolo membro oltre ai sette riduce del 10 per cento l’efficacia delle decisioni). Riunioni di 17 partecipanti e oltre non decidono nulla, e tutti gli intervenuti hanno la soddisfazione di sfattivarsi alla grande.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it