In un articolo di quattro anni e mezzo fa su Repubblica, Ettore Scola spiega per quale motivo non ha più fatto film anche se aveva un contratto firmato. Il giornalista gli chiede: “Sono quasi dieci anni che non fa un film. Quante volte le hanno chiesto perché?”. E Scola risponde: “Ogni volta che mi intervistano. La risposta è sempre la stessa. Sono grato a Berlusconi che mi ha fatto prendere questa decisione. Dovevo fare un film con Depardieu, c’era già il contratto. Con Medusa. In uno di quei suoi deliranti interventi in parlamento Berlusconi per dimostrare il suo ‘liberalismo’ o ‘libertalismo’ – con certe parole va a tentoni – disse che stava producendo un film del comunista Scola. Io scrissi alla Medusa che non avevo mai avuto mecenati, non ne volevo e che non avrei fatto il film. Anzi, quelli della Medusa furono gentili, risposero che se non mi trovavo a mio agio, capivano benissimo, magari ci sarebbe stata una collaborazione futura. Avrebbero potuto farmi causa”.
Una sera in Abruzzo, gli ho sentito dire un’altra cosa. Quando il giornalista gli chiede “perché non fa più film, maestro?”, Scola risponde: “Perché ho scoperto che Dostoevskij ha scritto tantissimo!”.
Per me è stato un calcio in testa, anzi due. Il primo è quello politico e militante di non lavorare col padrone più padronale degli ultimi trent’anni: il vecchio signore di Arcore, il “culo flaccido” secondo la felice e sintetica definizione di Nicole Minetti. Ma soprattutto l’indicazione netta e incontestabile rispetto a un’arte che deve essere altissima sempre. Cioè è importante la critica ai duci e ai ducetti, ma ancora più importante è puntare gli occhi e il cuore sulle parole vere, quelle che sono state scritte scavando nel ventre degli esseri umani.
Berlusconi è una figura opaca che risorge sempre, ma lo fa sempre peggio. Craxi e Andreotti (tanto per fare un esempio del grigio passato) sono burattini messi in cantina per sempre, pronti per la raccolta indifferenziata. Persino il Duce originale, lo scucchione in bianco e nero con la panza in guerra nella battaglia del grano, è un pupazzo ridicolo che non fa ridere solo i quattro ragazzotti fascisti del terzo millennio.
E Dostoevskij? Lui no. Ci sono parole che galleggiano un palmo sopra la schiuma putrida delle chiacchiere. E Scola, tra una parola e un pernacchio, ti dice che non vale la pena mettersi a combattere per strappare un’ultima pellicola alla propria storia, per aggiungere un pezzetto di racconto a un racconto già abbondantemente raccontato. Meglio sedersi in poltrona e rileggere le parole che sono arrivate vive attraverso il cimitero della letteratura che seppellisce libri e scrittori ogni giorno.
Che impressione sapere che Ettore Scola è morto!
Che impressione vedere che è più vivo di tanti che fanno i salti mortali per mostrare di essere ancora vivi!
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it