Quando ho ricevuto questo invito a parlare del coraggio di essere me, all’inizio il mio ego ha fatto le fusa. Come se gli avessero offerto una pagina pubblicitaria di cui sarebbe stato l’oggetto e al tempo stesso il fruitore. Mi vedevo già una medaglia al petto, eroica. Poi il ricordo degli oppressi mi ha assalito e ha cancellato ogni compiacimento.
Oggi mi concedete il privilegio di evocare il “mio” coraggio di essere me, dopo avermi fatto portare il fardello dell’esclusione e della vergogna per tutta la mia infanzia. Mi offrite questo privilegio come regalereste un bicchierino a un malato di cirrosi, negando al tempo stesso i miei diritti fondamentali in nome della nazione, confiscando le mie cellule e i miei organi per la vostra delirante politica. Mi accordate questo coraggio come se regalaste qualche gettone a un malato di gioco d’azzardo, continuando a rifiutare di chiamarmi con un nome maschile o di accordare il mio nome con aggettivi maschili, solo perché non ho i documenti ufficiali necessari né la barba.
Ci riunite qui come un gruppo di schiavi che hanno saputo allungare le loro catene ma che rimangono sempre più o meno disponibili, hanno ottenuto i loro diplomi e accettano di parlare la lingua dei maestri. Siamo qui, davanti a voi, tutti nati in corpi femminili, Catherine Millet, Cécile Guibert, Hélène Cixous, sporcaccione, bisessuali, donne dalla voce roca, algerine, ebree, virago, spagnole. Ma quando vi stuferete di assistere al nostro “coraggio” come se fosse un divertimento? Quando vi stuferete di differenziarci per identificare voi stessi?
Mi attribuite del coraggio, immagino, perché mi sono battuta a fianco delle puttane, dei malati di aids e degli invalidi. Nei miei libri ho parlato delle mie pratiche sessuali con vibratori e protesi. Ho raccontato la mia relazione con il testosterone. Questo è il mio mondo, è la mia vita e l’ho vissuta non con coraggio, ma con entusiasmo e gioia. Ma voi non sapete nulla della mia gioia. Preferite compatirmi e mi attribuite del coraggio perché nel nostro regime politico-sessuale, nell’imperante capitalismo farmacopornografico, negare la differenza del sesso è come negare l’incarnazione di Cristo nel medioevo. Mi attribuite un grande coraggio perché oggi, di fronte ai teoremi genetici e ai documenti amministrativi, negare la differenza sessuale è come sputare in faccia a un re nel quindicesimo secolo.
E mi dite: “Parlaci del coraggio di essere te”, come i giudici del tribunale dell’inquisizione hanno detto a Giordano Bruno per otto anni: “Parlaci dell’eliocentrismo, dell’impossibilità della Santa Trinità”, mentre raccoglievano la legna per il rogo. Ma anche se vedo già le fiamme, penso come Giordano Bruno che non sarà sufficiente un piccolo cambiamento di rotta, che si dovrà cambiare tutto, far esplodere il campo semantico e il dominio pragmatico. Uscire dal sogno collettivo della verità del sesso, così come si è usciti dall’idea che il Sole giri intorno alla Terra.
Per parlare del sesso, del genere e della sessualità bisogna cominciare con un atto di rottura epistemologica, una sconfessione categorica, una spaccatura della colonna concettuale che faccia sbocciare un’emancipazione cognitiva. Bisogna abbandonare completamente il linguaggio della differenza e dell’identità sessuale (anche il linguaggio dell’identità strategica di Spivak, o dell’identità nomade di Rosi Braidotti). Il sesso e la sessualità non sono una proprietà essenziale del soggetto, ma il prodotto di diverse tecnologie sociali e discorsive, di pratiche politiche di gestione della verità e della vita. Il prodotto del vostro coraggio.
Non esistono i sessi e le sessualità, ma gli usi del corpo riconosciuti come naturali o puniti in quanto devianti. E non serve giocare la vostra ultima carta trascendentale, la maternità come differenza fondamentale. La maternità è solo uno tra i diversi usi possibili del corpo, non è la garanzia della differenza sessuale né della femminilità.
Tenetevi quindi il vostro coraggio. Tenetelo per i vostri matrimoni e divorzi, per i vostri inganni e le vostre bugie, per le vostre famiglie, per la vostra maternità, per i vostri figli e nipoti. Tenetevi il coraggio di cui avete bisogno per seguire la norma. Il sangue freddo di prestare il vostro corpo all’incessante processo di ripetizione regolata. Il coraggio, come la violenza e il silenzio, come la forza e l’ordine, sono dalla vostra parte. Al contrario, io rivendico oggi la leggendaria mancanza di coraggio di Virginia Woolf e di Klaus Mann, di Audre Lorde e di Adrienne Rich, di Angela Davis e di Fred Moten, di Kathy Acker e di Annie Sprinkle, di June Jordan e di Pedro Lemebel, di Eve K. Sedgwick e di Gregg Bordowitz, di Guillaume Dustan e di Amelia Baggs, di Judith Butler e di Dean Spade.
Ma visto che vi amo, miei coraggiosi simili, vi auguro di perdere anche voi il coraggio. Vi auguro di non avere più la forza di ripetere la norma e di fabbricare l’identità, di perdere la fede in quello che dicono i vostri documenti su di voi. E una volta che avrete perso il vostro coraggio, stanchi di gioia, vi auguro di inventare un modo per l’uso del vostro corpo. Proprio perché vi amo, voglio che siate deboli e disprezzabili. Perché è attraverso la fragilità che opera la rivoluzione.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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