Le città sono macchine di socioarchitettura che producono identità. Le più potenti sono sicuramente quelle che si sono costruite storicamente come enclave religiose. Ma anche quelle che condensano lo spirito di un’epoca e quelle che rappresentano un polo d’attrazione dell’industria culturale hanno un grande potere.

Nell’undicesimo secolo il pellegrinaggio a Santiago di Compostela dava un’identità al cattolico come l’Amsterdam del diciassettesimo trasformava il viaggiatore in borghese, la Parigi del diciottesimo foggiava il libertino o il rivoluzionario, come la Buenos Aires del diciannovesimo secolo creava il colono, o la New York degli anni settanta e ancora la Berlino post-1989 producevano l’identità dell’artista contemporaneo.

Negli anni novanta, quando ancora costruivo la mia soggettività di lesbica, trascorrere l’estate a Lesbo faceva parte di un processo d’iniziazione politico-sessuale. Negli anni ottanta l’isola era diventata la meta turistica privilegiata delle lesbiche. La mitologia e il capitalismo avevano attribuito Mykonos ai gay, mentre le lesbiche avevano ottenuto Lesbo: l’isola di Saffo.

Lo spazio politico della sessualità

Obbedendo alla legge storica della gerarchizzazione sessuale del valore, i gay si abbronzavano su amache di cotone o sui materassini, sorseggiando i loro mojito su un’isola bianca e blu delle Cicladi.

Nello stesso periodo, le lesbiche si ritrovavano sull’isola più vicina alla costa turca, nota più per la sua base militare che per le sue spiagge. Mykonos e Lesbo rappresentavano due estremi opposti di spazio politico della sessualità. Mykonos era omosessuale, privatizzata, consumistica, insomma una banca di dollari rosa. Lesbo era queer, radicale, precaria, vegetariana e collettivista.

Per una lesbica radicale, il viaggio a Lesbo era un pellegrinaggio formativo. Viaggiavamo da New York a Parigi e poi ad Atene. Dall’aeroporto andavamo direttamente al Pireo. Io guardavo a malapena Atene, non la capivo, non immaginavo che un giorno avrei potuto amare questa città. Questo sarebbe accaduto solo molti anni più tardi. Passavamo la notte su un traghetto che ci lasciava al porto di Mitilene, a Lesbo. A quel punto prendevamo dei taxi guidati da uomini che con una mano reggevano il volante e con l’altra roteavano i komboloi.

Dopo due ore di curve e di precipizi, dopo aver attraversato l’isola da nordest a sudest, arrivavamo a Skala Eressos. La prima immagine della spiaggia di Eressos si è conservata intatta nella memoria come un inno all’utopia, come un appello alla rivoluzione. L’impossibile era diventato realtà: un chilometro di sabbia e di mare occupato da cinquecento lesbiche nude.

L’isola è cambiata. Io sono cambiato. Insieme a Leros e Chios, Lesbo è il primo luogo d’accoglienza dei migranti in Grecia

Dormivamo in campeggio o in una piccola pensione con una biblioteca nella quale le viaggiatrici potevano trovare e leggere Annemarie Schwarzenbach, Ursula Le Guin o Monique Wittig. La sera, al calar del sole, creavamo due squadre per giocare a pallavolo: le maschiacce contro le femmine. Da una parte tedesche e inglesi con il cranio rasato, le spalle scolpite dal nuoto e i tatuaggi a forma d’ascia bipenne. Dall’altra le italiane, con i capelli lunghi e le braccia snelle e abbronzate. Di solito erano queste ultime a vincere.

Torno a Lesbo dopo più di vent’anni. L’isola è cambiata. Io sono cambiato. Insieme a Leros e Chios, Lesbo è il primo luogo d’accoglienza dei migranti in Grecia. Io ho smesso di costruire la mia identità in quanto lesbica e oggi mi costruisco, grazie a tecniche diverse (ormonali, legali, linguistiche e così via) in quanto trans. Sono gli anni degli incroci. Della transizione. Della frontiera. La nave militare Border Front occupa tutta la prima fila del porto.

Mafie e populismi

Oggi sono sulle spiagge di Mitilene per il convegno internazionale Crossing borders. Attraversare le frontiere. Gli attivisti e i critici parlano della costruzione della “fortezza Europa”, che si definisce tramite la criminalizzazione dell’immigrazione e la reclusione forzata dei profughi nei centri di detenzione. Lesbo è diventata la Tijuana d’Europa.

Mitilene ha le vibrazioni e la violenza di una frontiera militarizzata. Il piano di vigilanza dello stato è al massimo, la precarietà del corpo migrante è al massimo: il contesto ideale per le mafie e il populismo. Le immagini dei campi profughi, quelli di Lesbo ma anche quelli di Atene, mi colpiscono con la stessa intensità, ma con sentimenti opposti, della spiaggia di Eressos alcuni anni fa.

La frontiera è uno spazio di distruzione e di produzione d’identità. Se la spiaggia di Eressos era un luogo di presa di potere e di nuova assegnazione di un significato dello stigma legato all’essere lesbica, oggi il campo è uno spazio di alterizzazione, di esclusione e di morte. Non so come portare la mia testimonianza. Non so come lanciare l’allarme. Buone vacanze.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Libération

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