Sicuramente non sarà l’ultima manifestazione di un megalomane sempre più liberticida. Alla guida della Turchia da 12 anni, Recep Tayyip Erdoğan ha fatto arrestare nella sola giornata di domenica 23 giornalisti, tra cui i direttori di un quotidiano e di un’emittente televisiva.

Altri arresti arriveranno nei prossimi giorni, perché Erdoğan ha fatto spiccare almeno 31 mandati di cattura nei confronti di persone accusate di aver formato “una banda che intende attentare alla sovranità dello stato”. Dopo aver annunciato di voler inseguire gli accusati “fin dentro le loro tane”, il presidente turco ha attaccato tutti i giornalisti legati alle reti politiche del suo ex alleato Fethullah Gülen, un predicatore musulmano che si è trasferito negli Stati Uniti ed è accusato di aver organizzato un anno fa le inchieste per corruzione contro alcuni membri della cerchia di Erdoğan.

Fethullah Gülen è effettivamente alla guida di una fratellanza segreta di alti funzionari e magistrati, e ha deciso di scatenare una guerra (che non è riuscito a vincere) contro la squadra del presidente, che considera ormai corrotto dal potere e dal denaro. In Turchia è in corso uno scontro frontale tra due correnti dell’islam politico. Erdoğan non ha esitato a usare la giustizia per colpire un avversario diventato troppo ingombrante, e questi arresti non sono il primo attentato alla libertà di stampa.

Prima di domenica sera nelle prigioni turche c’erano già circa 80 giornalisti, colpevoli di aver fatto il loro mestiere fin troppo bene. Come ha sottolineato otto giorni fa il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, “la paura” aleggia ormai sulle redazioni del paese, e questo presidente che si è appena fatto costruire un palazzo di duecentomila quadrati sta perdendo ogni senso della misura.

Erdoğan vuole che i liceali imparino il turco antico, lingua dell’impero ottomano; sostiene che non è stato Cristoforo Colombo ma un gruppo di musulmani a scoprire l’America; sostiene che l’uguaglianza tra uomo e donna “è contro natura”; accusa le nuove generazioni di essere “schiave dell’alcool”; annuncia “l’estirpazione di Twitter” e inaugura grandi opere nel solco di Mussolini e Stalin.

Mese dopo mese, quest’uomo sta rovinando quello che doveva essere il suo grande progetto, l’affermazione di un partito “islamico-conservatore” nato dall’islamismo ma fedele alla democrazia, la stessa democrazia che ha rispettato a lungo trasformando la Turchia in una potenza economica in pieno boom. Ebbro di potere e forte di una popolarità che gli ha permesso di vincere quattro elezioni consecutive, Erdoğan è ormai diventato un individuo inquietante, sempre più reazionario e intollerante. Il “Putin turco”, come lo chiamano i suoi avversari sempre più numerosi, è un pericolo per il paese ma anche per il resto del mondo, perché la Turchia, membro della Nato, è una potenza fondamentale che si trova all’incrocio tra l’Europa, l’Asia e il Medio Oriente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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