C’è un paese sull’orlo dell’abisso e nessuno può fare niente. Né le grandi potenze, né le Nazioni Unite, né gli stati della regione. Da un mese, il Burundi, piccolo stato dell’Africa dei grandi laghi, è travolto da manifestazioni quotidiane contro il presidente Pierre Nkurunziza, che vorrebbe ottenere un terzo mandato nonostante la costituzione glielo vieti.
I manifestanti difendono il rispetto dello stato di diritto contro un uomo che vorrebbe chiaramente ottenere la presidenza a vita. Quella in corso è una lotta tra la democrazia e una deriva dittatoriale che divide anche il partito presidenziale e che lo scorso 13 maggio aveva spinto una parte dell’esercito a tentare un colpo di mano per far rispettare la legge fondamentale.
C’è qualcosa di incredibilmente incoraggiante in questa rivolta di un popolo africano che scende in strada senza distinzione di etnia per opporsi a un sopruso. È l’ennesimo segnale dei cambiamenti profondi di un continente che potrebbe diventare l’Asia del ventunesimo secolo. Bisognerebbe aiutare questo popolo a vincere la battaglia contro il suo presidente, ma né gli europei né gli americani hanno la minima intenzione di intervenire in Burundi. Le Nazioni Unite hanno altre crisi a cui pensare, ancora più gravi e a cui non riescono a trovare una soluzione, mentre l’Africa, dal canto suo, non è abbastanza organizzata attorno a regole comuni e presenta ancora troppe dittature per difendere la democrazia in Burundi.
Domenica i leader dell’Africa orientale erano riuniti a Dar es Salaam, ex capitale e città più grande della Tanzania, per parlare del conflitto in Burundi, perfettamente coscienti delle ripercussioni che potrebbe avere in una regione instabile che deve ormai affrontare (senza averne le risorse) l’emergenza dei profughi del nuovo conflitto.
Il Burundi, l’Africa e le grandi potenze avevano riposto grandi speranze in questo vertice, ma dopo lunghi tentennamenti i politici presenti non hanno avuto il coraggio di chiedere a Nkurunziza di rinunciare al terzo mandato, consapevoli del fatto che il presidente avrebbe ignorato l’invito, che i paesi africani non hanno né i mezzi né il diritto di intervenire militarmente e che altri leader regionali accarezzano l’idea di aggrapparsi al potere nel disprezzo della loro costituzione.
L’Africa orientale si è dunque accontentata di chiedere un rinvio “di almeno un mese e mezzo” rispetto al voto previsto per il prossimo 26 giugno. Nkurunziza ha accettato la richiesta di buon grado, anche perché due dei cinque membri della commissione elettorale sono in fuga e il paese non è pronto per uno scrutinio, fosse anche solo di facciata.
Intanto in Burundi l’opposizione ha annunciato che le manifestazioni proseguiranno. Il paese, la cui storia è sempre stata tormentata, è ormai sull’orlo dell’abisso, ma il resto del mondo sembra indifferente perché nessuno stato né istituzione internazionale vuole (né può) fermare questa catastrofe ampiamente annunciata.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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