Forse, come dicono al Cairo, è davvero “un passo avanti monumentale”. Ancora non c’è niente di certo, perché potrebbero sempre emergere casualità politiche capaci di raffreddare gli entusiasmi, ma resta il fatto che la metà orientale del continente più povero del mondo, composta da 26 stati che si estendono dal Mediterraneo al Capo di Buona speranza, firmerà mercoledì a Sharm el Sheikh un trattato di libero scambio che potrebbe aprire la strada a un mercato unico di tutto il continente africano.

È un grande momento per l’Africa, i cui scambi interni oggi sono considerevolmente limitati da pesanti formalità doganali imposte dai diversi paesi. Spinti dalla volontà di proteggersi gli uni dagli altri e di alimentare mastodontici sistemi burocratici che sono sfruttati per creare clientele e distribuire incarichi fittizi, i paesi del continente sono arrivati al punto che il loro commercio reciproco rappresenta appena il 12 per cento del totale, contro il 70 per cento in Europa e il 55 per cento in Asia.

Questa situazione non ostacola soltanto gli scambi commerciali, ma anche lo sviluppo delle industrie africane, prive di sbocchi naturali e di un mercato sufficientemente ampio da giustificare grandi investimenti.

In questo senso la cancellazione delle barriere doganali interne è un obiettivo talmente importante che l’Africa si è data come scadenza il 2025 fin dal trattato di Abuja del 1991. Mercoledì, a metà del cammino, nascerà la zona tripartita di libero scambio di cui faranno parte il Mercato comune dell’Africa australe e dell’est, la Comunità dell’Africa dell’est e la Comunità di sviluppo dell’Africa australe, tre organizzazioni regionali già esistenti.

Certo, bisognerà ottenere la ratifica dei parlamenti nazionali, ma l’appuntamento di Sharm el Sheik non potrà che rafforzare “l’afrottimismo” della comunità imprenditoriale internazionale e dei giovani imprenditori africani, anche perché la crescita del continente è stabile al 5 per cento dall’inizio del secolo mentre in Europa è stagnante e in Asia comincia a rallentare.

Dopo “l’afropessimismo” della metà del ventesimo secolo, oggi c’è un’intera generazione di investitori per cui l’Africa è il nuovo Eldorado, mentre il futuro dell’Europa appare inconcepibile senza la nascita di una “collaborazione verticale” tra le due rive del Mediterraneo. Particolarmente presenti in Francia, i nuovi corteggiatori dell’Africa sono sulla buona strada, anche perché è ormai evidente che questo secolo sarà dominato dagli insiemi continentali modellati sull’Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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