La certezza l’avremo solo domani, ma possiamo già anticipare un possibile sviluppo nel caso in cui si avverasse la migliore delle ipotesi. Se il vertice sulla Siria che si svolgerà venerdì a Vienna aprirà le porte anziché chiuderle, andremo verso una federalizzazione del paese.
Anche escludendo le zone desertiche controllate dai jihadisti dello Stato islamico, al momento esistono tre Sirie. A Damasco e nel nordovest, nella regione di Laodicea, c’è la Siria del regime, a nord c’è la Siria dei curdi mentre in tutto il resto del paese c’è la Siria dell’insurrezione, a sua volta divisa. Qualsiasi compromesso dovrà tenere conto di questa realtà e offrire un posto dove vivere alle diverse comunità di questo paese spaccato.
La Turchia sembrava aver voltato pagina nei rapporti con i curdi, ma la crisi siriana ha compromesso tutto
Se davvero si arriverà a un accordo, la Siria diventerà un altro stato fittizio (come l’Iraq o il Libano) dove le parti hanno più importanza del tutto. Ed è qui che entra in scena la questione turca.
Due Kurdistan indipendenti
In Turchia vivono più di dieci milioni di curdi, ovvero il 15 per cento della popolazione. Per molto tempo il governo turco ha negato questa realtà perché la considerava una possibile causa del definitivo frazionamento dell’impero ottomano, di cui la Turchia è l’erede. Per questo i turchi avevano proibito l’uso della lingua curda e represso ogni affermazione di questa minoranza portando i curdi alla rivolta sotto la bandiera del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan.
È stata una guerra lunga e sanguinosa che si è interrotta solo negli ultimi anni, quando l’indebolimento del Pkk ha permesso ai conservatori islamici, al potere dal 2002, di tendere la mano ai curdi, garantirgli alcuni diritti e avviare un processo di riconciliazione. La Turchia sembrava aver voltato pagina, ma la crisi siriana ha compromesso tutto dando la possibilità ai curdi di Siria di conquistare l’autonomia, come avevano già fatto i curdi iracheni.
Di fatto esistono ormai due Kurdistan indipendenti in Medio Oriente, e ora il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan teme che l’indipendentismo dei curdi di Turchia possa risvegliarsi. Per questo ha ricominciato a bombardare le strutture del Pkk, intensificando le operazioni dopo aver perso la maggioranza alle elezioni di giugno. Domenica sono in programma nuove elezioni, e fomentando la tensione Erdoğan spera di influenzare gli elettori e vincere la battaglia delle urne.
I sondaggi però, almeno fino alla metà della settimana, non prevedevano una sua vittoria. Domenica avremo la risposta, ma finora tutto lasciava pensare che la strategia della tensione avesse fallito, che i conservatori islamici del Partito per la giustizia e lo sviluppo guidato da Erdoğan non avrebbero riconquistato la maggioranza e che il loro capofila, secondo molti una sorta di Putin turco, avrebbe fatto di tutto per conservare il suo potere, compreso sfruttare la questione curda.
Se venerdì a Vienna si concretizzerà la possibilità di creare una federazione in Siria, sancendo l’autonomia dei curdi siriani, c’è il rischio che si apra un nuovo fronte in Turchia, perché in questa vicenda sono in ballo tutte le frontiere mediorientali, a prescindere sia dall’accordo sulla Siria sia dai risultati delle elezioni turche.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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