I ribelli siriani sono vicini alla sconfitta. Martoriata dalle bombe russe, la roccaforte di Aleppo, seconda città del paese, sarà presto accerchiata dalle truppe del regime di Bashar al Assad, che si preparano a prenderla d’assedio.
L’unica speranza rimasta ai ribelli è che la Turchia, l’Arabia Saudita o entrambe consegnino i missili terra-aria che permetterebbero di resistere all’aviazione russa e a un lungo assedio, o che la loro tragedia commuova il mondo che oggi si gira dall’altra parte per non vedere. Nel frattempo le donne, i bambini e i vecchi fuggono finché sono in tempo. Questa settimana circa trentamila persone si sono ammassate alla frontiera turca, che resta chiusa perché la Turchia ospita già 2,7 milioni di rifugiati siriani.
Quando la frontiera sarà riaperta avremo un nuovo flusso di rifugiati in fuga – non solo dai jihadisti dello Stato islamico (Is) ma anche dai bombardamenti russi – che cercheranno di raggiungere l’Europa rischiando la vita, mettendo ulteriormente alla prova l’unità europea. In questo momento, sulle due rive del Mediterraneo si sta delineando uno scenario catastrofico perché nessuno vuole e può fermare la Russia, che non vuole un compromesso sulla Siria ma la vittoria militare per sé e il suo alleato di Damasco.
Gli europei sono troppo divisi dalla crisi, troppo occupati in altre faccende e troppo impotenti dal punto di vista militare
La Russia vuole dimostrare di essere ritornata una potenza assoluta e che i suoi alleati possono contare sulla sua forza. Una dittatura tende la mano a un’altra. In questo modo Mosca si afferma sulla scena internazionale, e niente sembra poter ostacolare il suo piano.
Fatta eccezione per gli attacchi aerei contro l’Is, gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di rimettere piede in Medio Oriente. Washington non crede che sia nel suo interesse tentare di creare un equilibrio nella regione, mentre gli europei, pur minacciati dal dramma dei rifugiati e dai terroristi, sono troppo divisi dalla crisi, troppo occupati in altre faccende e troppo impotenti dal punto di vista militare per reagire insieme.
La Russia, insomma, ha le mani libere. Il Cremlino ricorre alle bombe come aveva fatto in Cecenia, ovvero senza alcuna pietà. La differenza è che la Siria non è una repubblica della Federazione russa ma un paese di una regione lontana e divisa tra una minoranza sciita e una maggioranza sunnita e tra l’Iran e l’Arabia Saudita, che la utilizzano come terreno di scontro per alleanze interposte.
Il regime di Damasco non ha altre truppe da impiegare se non quelle fornite dall’Iran. Senza un compromesso regionale siamo condannati ad assistere a una lunga guerra che rafforzerà l’Is e in cui la Russia potrebbe presto impantanarsi in un momento in cui le sue finanze sono al tracollo.
Forse le potenze coinvolte in questo conflitto ritroveranno il buon senso, magari in occasione del prossimo appuntamento, l’11 febbraio a Monaco. Potrebbe accadere, ma le prospettive in questo momento sono pessime.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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