Non ne so niente. Non ho cercato di scoprire niente perché so che su certi argomenti non si fanno confidenze. Ma ho letto e ascoltato. Ho letto, perché è stato annunciato ufficialmente, che il 9 dicembre il presidente della repubblica francese sarà a bordo della Charles de Gaulle al largo delle coste siriane per sottolineare l’importanza della missione dei soldati francesi che partecipano alla lotta contro il gruppo Stato islamico.
Qualche ora prima avevo ascoltato Angela Merkel dichiarare davanti al congresso del suo partito che “Aleppo è una vergogna. È una vergogna che non siamo riusciti ad aprire corridoi umanitari, ma dobbiamo continuare a lottare. La battaglia contro la minaccia asimmetrica del terrorismo islamico dev’essere combattuta di comune accordo, e invece la Russia e l’Iran sostengono il regime di Assad nel suo comportamento brutale contro la sua popolazione”. Poi, con un appello concreto a manifestare, Merkel si è rammaricata del fatto che nessuno sia sceso in piazza per protestare contro i bombardamenti quando molti lo fanno per criticare il trattato commerciale tra l’Europa e gli Stati Uniti.
Ho letto e ho sentito, e ho sognato che con questo spirito la cancelliera possa raggiungere il 9 dicembre prossimo Hollande sulla Charles de Gaulle e che con un breve viaggio in elicottero Francia e Germania arrivino insieme ad Aleppo est.
La diplomazia, come la politica, non ci obbliga sempre a schierarci dalla parte del vincitore, quella del macellaio di Damasco in questo caso
Non so se sarà possibile, ma se Aleppo è una “vergogna” (e lo è) e se Francia e Germania pensano giustamente che i bombardamenti russi non colpiscono il gruppo Stato islamico, tra l’altro cacciato dalla città martire dai ribelli massacrati dalla Russia, dall’Iran e dal regime di Damasco, Angela Merkel e François Hollande hanno tutti i motivi del mondo per andare ad Aleppo.
Non sono ingenuo. Sono realista, e come tutti so che i ribelli stanno perdendo una battaglia che non possono più sperare di vincere. Ma la diplomazia, come la politica, non ci obbliga sempre a schierarci dalla parte del vincitore, in questo caso quella del macellaio di Damasco.
Come la politica, anche la diplomazia ci impone di vedere al di là del presente, di pensare a lungo termine. Bashar al Assad e i suoi alleati conquisteranno Aleppo, ma cosa se ne faranno di questa vittoria? Come intendono ricostruire la Siria? Come faranno a stabilizzare un paese in cui il 60 per cento della popolazione è sunnita mentre il regime proviene da un ramo dello sciismo, in un momento in cui le due correnti dell’islam sono impegnate in una guerra di influenza regionale che potrebbe presto trasformarsi in una guerra dei cent’anni?
Per la cancelliera e il presidente andare ad Aleppo significherebbe ricordare simbolicamente che le armi non possono risolvere niente e che la pace arriverà solo attraverso un compromesso. In questo modo Francia e Germania farebbero risuonare la ragione e preparerebbero il futuro. Sarebbe un gesto onorevole per l’Europa, oltre che nel suo interesse.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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