Forse è un comportamento compulsivo. Forse Donald Trump non riesce a trattenersi dal far conoscere al mondo, 140 caratteri alla volta e rigorosamente in maiuscolo, i suoi pensieri e le sue intenzioni del momento.

Forse i suoi tweet vendicativi scaturiscono da una deliberata strategia volta a disorientare il mondo intero, come i guerrieri del passato che si lanciavano all’attacco con grida talmente spaventose da paralizzare i loro avversari.

Non lo sappiamo, ma il 15 gennaio John Brennan, il direttore uscente della Cia, ha manifestato la sua preoccupazione in un’importante trasmissione televisiva dichiarando che “la spontaneità non serve a proteggere la sicurezza nazionale” e che il presidente eletto, quando si esprime, dovrebbe essere “sicuro di comprendere le implicazioni e l’impatto sugli Stati Uniti delle sue dichiarazioni”. Come se fosse la ramanzina di un professore nei confronti di un alunno indisciplinato.

Gettare fango sugli avversari
Mancano cinque giorni. Il 20 gennaio Donald Trump diventerà il presidente degli Stati Uniti, e cosa ha pensato bene di fare il 14? Rassicurare la popolazione? Cercare di allentare la tensione? Evitare le polemiche inutili? Tutto il contrario. Il presidente eletto ha infatti scelto di scrivere un tweet trascinando nel fango un parlamentare democratico che aveva annunciato di non voler partecipare alla cerimonia di venerdì perché non considera legittima l’elezione di Trump.

Ma chi è il parlamentare in questione? Nientemeno che John Lewis, icona del movimento per i diritti civili, amico di Martin Luther King e pilastro del congresso da più di tre decenni. Senza preoccuparsi di offendere tutti i neri americani e tutti gli americani legati al momento storico segnato dalle manifestazioni per la difesa dell’uguaglianza razziale negli anni sessanta, Trump si è buttato nella mischia come in una rissa da strada e senza il minimo riguardo per il suo ruolo istituzionale.

Possiamo credere che Trump abbia capito il peso e l’impatto del suo tweet? Davvero ha voluto dire ai suoi elettori che per lui i diritti civili non hanno importanza? La risposta potrebbe darla solo lui. Altrettanto inquietante, nel frattempo, è il fatto che Trump, nella giornata di sabato e con una sola frase, abbia dichiarato al Wall Street Journal che potrebbe mettere in dubbio il principio della “Cina unica”.

Pechino ha reagito immediatamente dichiarando che questo principio non è negoziabile. Era prevedibile, perché agli occhi dei leader cinesi esiste una sola Cina e Taiwan è solo una provincia provvisoriamente autonoma. Pechino non vuole avere rapporti diplomatici con i paesi che riconoscono Taiwan come stato indipendente, ma Trump non ha esitato prima di minacciare una rottura con la Cina per avere un vantaggio nei futuri negoziati commerciali. È una scelta strategica, ma siamo sicuri che Trump comprenda l’impatto e le conseguenze delle sue dichiarazioni, a cominciare da quelle sull’obsolescenza della Nato e sull’imminente disgregazione dell’Europa?

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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