È chiaro, ma raramente una simile chiarezza ha portato tanta confusione. La situazione è chiara perché Theresa May ha preso atto, con il suo discorso del 17 gennaio, del rifiuto degli altri 27 stati dell’Unione europea di permettere al Regno Unito di restare all’interno del mercato unico se Londra intende opporsi alle regole e alla libertà di circolazione dei cittadini europei in ognuno dei paesi che ne fanno parte.
Fino a questo discorso tanto atteso, la posizione dei britannici era stata ambigua. La premier si era rifiutata di scegliere tra la rinuncia ai vantaggi del mercato unico e la rinuncia al controllo dell’immigrazione europea. Non sapevamo cosa avesse intenzione di fare May, e gli altri leader europei attendevano con trepidazione. Ora però è arrivata la decisione.
Il Regno Unito uscirà dal mercato unico perché non vuole ottenere lo status di paese associato che gli avrebbe imposto di accettare la totalità delle regole valide per gli stati membri senza più avere voce in capitolo sulla loro definizione. Londra chiude la porta e a questo punto ambisce solo a negoziare un accordo commerciale bilaterale con l’Unione, in un contesto limitato ai buoni rapporti e alla stretta cooperazione militare.
Regna ancora la confusione
I 27 appaiono soddisfatti, tanto che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha elogiato il “realismo” di May. L’Unione europea è felice di sapere quali saranno i termini del negoziato, le condizioni della separazione e l’eventuale accordo commerciale voluto dai britannici. Ma su alcuni aspetti regna ancora la confusione.
Innanzitutto le parti non sono ancora d’accordo sulla tempistica e sulle condizioni finanziarie della separazione. Prima di raggiungere un accordo potrebbero volerci più dei due anni previsti dai trattati. In secondo luogo il Regno Unito vorrebbe aprire al più presto il negoziato per un accordo commerciale, mentre i 27 vorrebbero avviarlo solo dopo la conclusione della trattativa sulla separazione.
Londra minaccia il dumping fiscale in mancanza dell’accordo commerciale bilaterale con l’Ue
Inoltre il negoziato di un accordo commerciale è sempre un processo lungo e aleatorio, perché le parti coinvolte vogliono ottenere il massimo di vantaggi e garanzie. Infine Theresa May ha accompagnato la richiesta di un accordo commerciale (indispensabile per le aziende britanniche e la City) con una minaccia: se non ci sarà accordo Londra è pronta a ricorre al dumping fiscale e sociale riducendo le imposte sulle imprese e limitando ulteriormente la protezione dell’impiego, già ridotta.
Nel vecchio continente questo ricatto preoccupa diversi leader. Per questo ogni clausola sarà esaminata scrupolosamente. Il dialogo non sembra partito con il piede giusto, e il 17 gennaio un alto funzionario europeo mi ha confidato che poiché oggi non c’è più niente di certo – né il commercio britannico, né la sicurezza americana, né l’energia russa – l’Unione ha finalmente capito che può contare solo su se stessa.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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