Il Venezuela è uno dei grandi paesi dell’America Latina. Dato che le sue riserve petrolifere sono le prime al mondo, avrebbe tutto per prosperare, e invece passa da una crisi all’altra, economica e politica. Ma oggi il Venezuela sembra sprofondare nel caos e nell’incertezza.
La settimana scorsa la corte suprema aveva usurpato le funzioni legislative del parlamento, togliendo ai deputati l’immunità e ampliando ulteriormente i poteri eccezionali che aveva già concesso al capo dello stato Nicolás Maduro. Si tratta di una sorta di colpo di stato giudiziario contro il parlamento, dove l’opposizione ha la maggioranza da oltre un anno. La vicenda ha suscitato talmente tante proteste da parte dei paesi vicini, dell’Onu, dell’Europa e degli Stati Uniti che il 1 aprile la corte è tornata sui suoi passi e ha annullato gli arresti.
Tuttavia niente è davvero risolto, perché dal 1999 il Venezuela vive una rivoluzione che prima aveva entusiasmato la popolazione, poi l’ha delusa e infine la preoccupa. Nel 1999 Hugo Chávez aveva assunto i comandi del paese grazie al voto. Militare ex golpista, cristiano diventato socialista, si era lanciato in vasti programmi di lotta alla povertà finanziati con gli introiti petroliferi. Aiuti e sussidi di ogni sorta sono stati concessi ai più bisognosi, che hanno beneficiato anche di uno sforzo enorme per migliorare l’istruzione. Aziende ed enormi proprietà fondiarie sono state nazionalizzate. Le terre sono state ridistribuite e messe a disposizione di cooperative agricole.
Gli investimenti mancati
Lo hanno chiamato “bolivarismo”, dal nome di Simón Bolívar, il grande liberatore dell’America Latina. Perfetto, tutto ottimo perché questa redistribuzione delle ricchezze ha sanato un’enorme ingiustizia economica e sociale. Il problema, però, è che questa rivoluzione non si è mai preoccupata di investire nello sviluppo del paese.
Il governo venezuelano si è limitato a incassare assegni sul petrolio, ed è stato talmente convinto di incarnare la giustizia da pensare che non fosse necessario concedere la libertà ai nemici del popolo. Quando il prezzo del petrolio è crollato, l’economia è affondata. Chávez è morto, e il suo successore, l’attuale presidente, non ha certo il suo carisma. Le opposizioni hanno vinto le elezioni politiche del 2015 e hanno dato vita a un permanente braccio di ferro tra il parlamento e il capo dello stato, che si è aggiunto al disastro economico.
In condizioni normali Nicolás Maduro sarebbe già dovuto cadere. Dalle medicine agli alimenti, in Venezuela manca tutto. L’insicurezza è oltre ogni limite. Quest’anno l’inflazione potrebbe superare il 2.000 per cento. Più del 78 per cento dei venezuelani non vuole più saperne di questo governo, ma l’esercito, coperto di privilegi, appoggia il presidente. L’opposizione è spaccata e le grandi istituzioni come la corte suprema sono nelle mani degli uomini fedeli al presidente.
Il governo non fa altro che sopravvivere a se stesso, ma ha la forza per farlo e le uniche minacce sono rappresentate dalla crescente divisione interna, dalle pressioni internazionali e dalle prossime elezioni che si terranno nel 2018. In teoria.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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