Non solo un pragmatico ha vinto contro i conservatori. Aggiudicandosi il 57 per cento dei voti al primo turno del 19 maggio, il presidente uscente Hassan Rohani, l’uomo del compromesso sul nucleare raggiunto con le grandi potenze e della cancellazione delle sanzioni internazionali che soffocavano il paese, ha sconfitto il bando della gerarchia religiosa più reazionaria. Ma non è tutto. Rohani ha avviato una dinamica che apre una nuova pagina politica a Teheran.

L’ha fatto perché non aveva altra scelta. Per sconfiggerlo, le diverse correnti del conservatorismo si erano accordate su un candidato comune, Ebrahim Raisi, forte del sostegno attivo dei guardiani della rivoluzione, le forze armate del regime, e della benevolenza della guida suprema, padrone delle istituzioni religiose che governano la repubblica e uomo più potente dell’Iran.

Giustizia, polizia, mezzi di comunicazione, ricchissime fondazioni religiose e la forza d’intimidazione dei guardiani: tutto sembrava sbarrare la via a Rohani, a cui restava come sola arma la mobilitazione degli astensionisti.

Astensionismo sconfitto
Per vincere, il presidente uscente doveva far aumentare l’affluenza portando alle urne chi solitamente non vota perché condanna il regime in blocco e non vuole essere complice del suo governo, nemmeno votando per le figure più contestatarie. Rohani c’è riuscito alzando i toni. Proprio lui che quattro anni fa si era fatto eleggere come “moderato” a metà strada tra conservatori e riformatori, ha cominciato ad attaccare intimando ai guardiani di restare nelle caserme e denunciando le repressioni politiche della teocrazia.

Rohani ha denunciato il regime, e questo affondo ha chiamato alle urne quasi il 70 per cento degli elettori. È a questo cambiamento che Rohani deve la sua vittoria.

La ragione impone ai conservatori di cercare un modus vivendi con Rohani

Sabato sera, ragazze e ragazzi ballavano insieme nelle strade dell’Iran. Uno spettacolo illegale, impensabile solo tre giorni fa. Nessuno aveva più paura, perché Rohani aveva vinto, di fatto contro il regime.

I conservatori devono reagire, ma quale strada possono seguire? Contestare i risultati? No, perché sono fin troppo chiari. Alimentare la paura? No, perché significherebbe rischiare manifestazioni di massa.

I conservatori sono sgomenti e appaiono sempre più divisi, perché oltre alle presidenziali hanno perso le comunali di Teheran e di altre città che fino a ieri controllavano saldamente. Almeno per il momento, la ragione impone ai conservatori di cercare un modus vivendi con Rohani, che dal canto suo ha deciso di rilanciare e dal 19 maggio si è schierato nel campo riformatore.

Contro Rohani o con lui, oggi i conservatori e la guida non hanno più i mezzi per incanalare l’onda che si è sollevata. Se attaccheranno il presidente scoperchieranno il vaso di Pandora. Se si appoggeranno a lui, invece, finiranno inevitabilmente per rafforzarlo. Non sappiamo ancora cosa decideranno, ma è evidente che dalle urne è uscito un nuovo Iran.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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