Quattrocentoquarantuno voti favorevoli, 205 contrari e 52 astenuti: così è finito il voto al parlamento europeo sulla Relazione sui progressi concernenti la parità tra donne e uomini nell’Unione europea, cioè la cosiddetta risoluzione Tarabella dal nome del suo relatore, l’eurodeputato belga Marc Tarabella.
Nei giorni passati la risoluzione aveva sollevato in Italia proteste e petizioni. Perché? Per aver nominato l’aborto ai punti 44 e 45, dove il documento
osserva che vari studi dimostrano che i tassi di aborto sono simili nei paesi in cui la procedura è legale e in quelli in cui è vietata, dove i tassi sono persino più alti (Organizzazione mondiale per la sanità, 2014); insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo della loro salute e dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva.
È incredibile come tutto il resto fosse scomparso davanti a due occorrenze della parola “aborto”: le questioni di genere, la parità, la differenza di retribuzione, la povertà e l’esclusione sociale, l’uguaglianza in senso pieno, le mutilazioni genitali, l’accesso alle cure, gli stereotipi di genere.
Ed è incredibile come quello che c’è scritto sull’aborto sia stato deformato e presentato come una specie di incitazione all’interruzione di gravidanza, mentre è, da un lato, la constatazione quasi scontata della inefficacia e della pericolosità delle restrizioni, e dall’altro un invito a garantire a tutte l’accesso alle scelte riproduttive (aborto compreso). Non dimentichiamo nemmeno che in genere la garanzia dei servizi e dei diritti è direttamente proporzionale ai mezzi che si hanno, perciò le persone più escluse tendono a essere quelle più fragili e meno informate.
La lettura della relazione Tarabella fatta dai suoi detrattori lascia emergere per l’ennesima volta l’incapacità di analizzare un testo o la volontà di alterarne il senso: come spesso accade, si discute e ci si indigna senza nemmeno capire bene le premesse della discussione e della propria indignazione.
In molti si sono ostinati addirittura a sostenere che sarebbe contraria alla legge. Ma in che modo, visto che la legge italiana – pur con alcune contraddizioni – garantisce il servizio di interruzione volontaria di gravidanza?
La deputata dell’Udc Paola Binetti l’8 marzo ha scritto su Twitter:
Martedì 10/3 voto Parlamento europeo su Rapporto sull’eguaglianza donne-uomini in EU contestato quando chiede più facile accesso all'aborto!
— Paola Binetti (@paolabinetti) 7 Marzo 2015
Nella petizione “Diritto all’aborto” promosso dall’Europa si pregava “di respingere i paragrafi che mirano a promuovere il ‘diritto all’aborto’ in Europa”. Anche i cattolici del Partito democratico non hanno digerito il riferimento all’aborto.
Era successo qualcosa del genere due anni fa con una relazione simile che però era stata bocciata: Sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi di Edite Estrela.
L’eurodeputato del Pd David Sassoli l’11 dicembre 2013 chiedeva (non avendo evidentemente letto la legge italiana 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, in particolare l’articolo 12):
Domandona: secondo voi è giusto consentire alle ”giovanissime” -13,14 anni- l'accesso all'aborto senza il parere dei genitori?
— David Sassoli (@DavidSassoli) 11 Dicembre 2013
Sassoli, attualmente vicepresidente del parlamento europeo, si era astenuto insieme agli altri parlamentari del Pd, Silvia Costa, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi e Patrizia Toia. Il 10 marzo invece ha scritto:
Su #Tarabella ok #Europarl. Relazione equilibrata al contrario della #Estrela. Leggere e poi giudicare. #S&D #PD http://t.co/GAb0uFL0zK
— David Sassoli (@DavidSassoli) 10 Marzo 2015
Cosa ci fosse di estremo nella relazione di Estrela non è chiarissimo. Forse le 56 occorrenze della parola “aborto”, anche se la maggior parte era nelle premesse, e poi nel paragrafo “Gravidanze non programmate e indesiderate: accesso alla contraccezione e a servizi per un aborto sicuro” (in particolare dal punto 28 al 39).
Ancora più sfuggente l’eurodeputata del Pd Silvia Costa, che pochi minuti dopo l’approvazione di Tarabella ha sentito il bisogno di commentare:
Con emendamento PPE che ribadisce che sanità e diritti sessuali e riproduttivi sono competenza nazionale ho votato a favore della #Tarabella
— Silvia Costa (@SilviaCostaEU) 10 Marzo 2015
L’emendamento del Partito popolare europeo è il seguente:
43 bis. Osserva che l’elaborazione e l’applicazione delle politiche in materia di salute e diritti sessuali e riproduttivi nonché in materia di educazione sessuale sono di competenza degli stati membri; ribadisce, nondimeno, che l’Ue può̀ contribuire alla promozione delle migliori pratiche tra gli stati membri.
Ridondante giuridicamente, sembra voler mettere le mani avanti di fronte a un fantasma. Il diritto dei singoli stati membri è infatti preminente rispetto a quello europeo.
In questo continuare a sottolineare l’ovvio – nessuno dopo Tarabella verrà in Italia o andrà altrove a controllare che l’interruzione volontaria di gravidanza sia davvero garantita, è più una dichiarazione d’intenti, magari un pretesto per discutere e capire – c’è tutta la manzoniana arte del sopire e troncare, il non voler scontentare nessuno per scontentare tutti: i cattolici allergici alle scelte riproduttive e i sostenitori della libertà di scelta (pro choice) insofferenti al moralismo e stufi della insoddisfacente garanzia delle scelte riproduttive.
Che poi in tale stucchevole ovvietà una cosa da ricordare ci sarebbe: in Italia la legge 194 stabilisce che le interruzioni di gravidanza devono essere assicurate, che è più forte la garanzia del servizio di qualsiasi obiezione di coscienza. Questo significa anche non permettere l’obiezione “di struttura”, ma solo quella personale che però dovrebbe arretrare davanti alla richiesta della donna di abortire (si legga l’articolo 9: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure”). Ma ognuno sembra votare e leggere solo quello che fa comodo capire.
Anche se stavolta il parlamento europeo ha approvato la risoluzione, la vittoria è poco più che simbolica (con o senza l’emendamento). Certo è sempre meglio vincere simbolicamente che perdere e, soprattutto, visto che sono nominate anche le questioni di genere possiamo aspettarci commenti scandalizzati e fuori tema per le prossime settimane.
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