Il 22 marzo un gruppo di agenti in borghese è entrato all’ora di ricreazione nel liceo Virgilio di Roma, ha perquisito alcuni studenti e ne ha arrestato uno per spaccio. La notizia e il contesto in cui l’episodio è avvenuto li ho raccontati in un articolo che ha suscitato molte reazioni da parte della preside, dei docenti, degli studenti e dei loro genitori.

Irene Baldriga, la preside, ha manifestato più volte la sua indignazione per il modo in cui la stampa e lo stesso articolo scritto per Internazionale ha riportato la vicenda. Secondo Baldriga, c’è un gruppo minoritario di studenti del Virgilio (e di ragazzi che non frequentano più il Virgilio o non l’hanno mai frequentato) coordinati con un gruppuscolo di genitori che cercano di strumentalizzare l’accaduto per avere visibilità politica, in una sorta di campagna accusatoria nei suoi confronti. In una serie di dichiarazioni Baldriga ha fatto cenno anche a una specie di disegno eversivo, non manifesto, contro le istituzioni che lei rappresenta. I giornalisti sarebbero manipolati da questa minoranza.

La preside, a quanto dice, può vantare invece l’appoggio e la solidarietà di gran parte dei docenti e degli studenti. Questa cosa me la confermano diversi insegnanti e genitori che, per esempio, mostrano in un dibattito interno, dati alla mano, come l’intervento delle forze dell’ordine sia avvenuto in molte scuole d’Italia, senza suscitare tutto questo clamore.

Chiara Matteucci, rappresentante dei genitori, è convinta di questa tesi, e scrive:

Il Virgilio è la culla del potere, del potere subdolo che si fa chiamare democrazia, ma è fascismo nella sua peggiore accezione (fascista per me è chi con la forza e la violenza piega gli altri al proprio volere, chi non permette di parlare a chi ha opinioni contrastanti, come è successo a me, come è successo a molti studenti durante le assemblee). Quel potere che permette, non appena qualcuno si senta minacciato nella sua posizione di dominanza, di fare la telefonata giusta e subito arriva l’interrogazione parlamentare, la chiamata di questo o quel ministro, ambasciatore, parlamentare. 
Arrivano giornalisti di tutte le testate, giornali e tv con lunghi servizi, come se a Roma, in Italia aggiungerei, esistesse un’unica scuola: il Virgilio, e un unico problema: la preside Irene Baldriga. Farebbe ridere se non fosse disgustoso.

Lucia Cardarelli, insegnante al Virgilio, stigmatizza le dichiarazioni di alcuni studenti e difende l’operato della preside e di altri docenti:

Il Virgilio non è e non è mai stato l’ombelico del mondo e i fatti eccezionali avvenuti qualche giorno fa nel liceo si sono verificati in molte altre scuole del nostro paese con molta meno risonanza, mi pare. Lei sa bene che chi è chiamato a educare e formare adolescenti non cerca di evitare il conflitto a tutti i costi ma pretende che vengano rispettati alcuni, basilari, principi di convivenza civile. È così in tantissime scuole europee, dovrebbe essere così anche nel nostro liceo, dove regna la massima libertà, a dispetto di tanti falsi slogan. ‘I pavidi non cerchino la libertà chiedendola a chi detiene il potere’. E qui, di quale libertà si tratta?

Altri insegnanti difendono la preside da quello che ai loro occhi sembra un disegno di delegittimazione. Daniela Bizzarri scrive a Internazionale:

Come si può anche solo mettere sullo stesso piano, come se fossero due opinioni a confronto, da una parte un dirigente scolastico che difende le istituzioni, la legalità e il diritto alla salute dei suoi studenti con uno straordinario spirito di servizio e di responsabilità, sapendo di pagare un costo altissimo innanzitutto sul piano personale per gli attacchi strumentali, il mare di insinuazioni e menzogne che le si stanno rovesciando addosso, e dall’altra invece alcuni ragazzi e una sedicente rappresentante di Istituto (se lo è mente sapendo di mentire ), che fanno delle proprie opinioni personali bastevole motivo per infischiarsene delle regole della convivenza civile e dei diritti degli altri? 
Si può anche pensare che il proibizionismo delle c.d. droghe leggere sia controproducente, ma non per questo si può pretendere che la legge al Virgilio non sia applicata, né sentirsi autorizzati a spacciare a ragazzini di quattordici anni facendo di questa attività criminale una bandiera della libertà di pensiero.

Un’altra rappresentante dei genitori, Francesca Valenza, è di parere opposto, cerca di smorzare i toni e, replicando a una puntata andata in onda su Radio 24, ha detto:

Ci sentiamo profondamente offesi e danneggiati, come genitori e anche a tutela dei nostri figli, dall’immagine che ha disegnato la dirigente nei nostri confronti con profili falsi e diffamatori. Nessun genitore ha mai affermato di volere la scuola come una zona franca, come non lo hanno fatto gli studenti, addirittura si ipotizzano trame eversive. Noi come genitori rappresentanti della lista di maggioranza Insieme per il Virgilio che esprime tre consiglieri su quattro al Consiglio d’istituto. Ci dissociamo da questa immagine della scuola ‘zona franca e covo di violenti’ . I genitori che rappresentiamo hanno voluto solo sottolineare che la scuola e le famiglie non devono declinare il loro ruolo educativo, fatto di formazione, prevenzione, educazione alla cittadinanza, ruolo che non deve essere delegato alle forze dell’ordine, che dovrebbero essere impegnate in altri campi. La scuola e le famiglie devono lavorare per creare relazioni di fiducia con gli studenti, aiutarsi a rialzarsi quando cadono, trovare insieme ai ragazzi le strade per dire no a ogni dipendenza che ti rende schiavo. Considerando gli studenti dei cittadini e non dei sudditi da prendere a manganellate. Lo stato e la scuola non sono rappresentati da una sola persona seppur dipendente pubblico, ma dall’intera comunità scolastica che può trovare soluzioni condivise al suo interno tramite gli organi collegiali regolarmente eletti.

Una degli studenti che avevo intervistato per il mio articolo sembrava anche lei molto lucida nelle sue critiche, riconoscendo le responsabilità giuridiche, ma distinguendo chiaramente sulle modalità d’intervento. In un suo post pubblico scriveva:

I compagni che sono stati portati via non sono pericolosi criminali, non sono assassini. Sono ragazzi che hanno più o meno la nostra età che hanno commesso uno sbaglio. Uno sbaglio grave per il quale devono assumersi le proprie responsabilità (come stanno facendo) ma questo non giustifica il trattamento violento che hanno subito. Alla nostra Dirigente vorrei chiedere perché non sia stata presente durante l’operazione per assicurarsi che i suoi studenti (che più volte ha dichiarato considerare come i suoi figli) fossero trattati adeguatamente. 
Vedere delle guardie, dei poliziotti, introdursi con tale impeto nella mia scuola, dove vorrei sentirmi protetta e tutelata è una cosa che mi ha scosso molto. So che la polizia può entrare dove vuole, ma io non sto parlando di legalità. Sto parlando di umanità, in un luogo atto alla formazione.
 Umiliare quei ragazzi davanti a centinaia di studenti, in un luogo di istruzione e non di terrore, a titolo ovviamente dimostrativo, ha vanificato persino lo sforzo della giustizia. Ha fatto dei sospettati dei martiri e quindi ha persino sortito un effetto opposto a quello desiderato.
[…] Ieri ho avuto paura e provato rabbia, oggi cerco di riflettere.
 Ho scritto questa mail come testimonianza diretta di ciò che è successo e non per nutrire polemiche. Per fare della nostra scuola un’oasi felice occorre sicuramente combattere lo spaccio ma è auspicabile che ciò non avvenga attraverso un clima di terrore che inevitabilmente scatena reazioni indesiderate.

Le faceva eco un’altra studente:

Lo spaccio è illegale, la legalità è importante e va difesa ma essa non da il diritto morale di capovolgere una scuola, quando tutto ciò che è stato fatto poteva esser fatto altrove, poteva essere una questione tra le forze dell’ordine, i ragazzi e le loro famiglie. Tutto ciò poteva esser fatto senza mettere in mezzo 1.500 studenti che ora non possono fare a meno di sentirsi diffidenti, presi in giro e lontani. È per le seguenti ragioni che ripeto: la legalità sì, la legalità così no.

Luca Garbini, insegnante di filosofia e storia, contesta anche lui la semplificazione del racconto che è stato fatto finora sul Virgilio, anche da Internazionale, e cerca di ridimensionare alcune polemiche – quella sull’intervento di Scientology nelle iniziative sulla prevenzione sarebbe una semplice sbadataggine (certo una sbadataggine grave) – e prova a contestualizzare l’arresto in una cornice più ampia, spostando anche la riflessione su che tipo di educazione usare per il consumo di droghe a scuola:

Se voleva, poi, poteva sentire anche altri genitori, non trova? Magari quel papà che tempo addietro è venuto a scuola in lacrime dopo aver scoperto che suo figlio non ancora quindicenne era stato socializzato all’uso di droghe proprio al Virgilio, durante quella fantastica e bellissima esplosione di partecipazione democratica che è stata l’occupazione. O ancora quella mamma che vedeva il figlio quindicenne ‘strano’, capace solo, al ritorno da scuola, di mettersi a letto a dormire, fingendo oscuri malesseri prima di confessarle la scoperta delle gioie della canna al Virgilio. Oppure quell’altra mamma che è venuta ad accusarci di tollerare una criminale circolazione di stupefacenti nel cortile della scuola. Cosa direbbe a questi genitori? Che la questione è sociologicamente complessa? Che a scuola le leggi si possono violare? Che dovevamo aspettare i lunghi tempi dell’azione educativa e tutto si sarebbe risolto? Che io stesso avevo parlato con diversi studenti della necessità che fossero loro a gestire lo spazio del cortile, convincendo quanti ruotavano intorno al mondo della cannabis a valutare le conseguenze dei loro comportamenti e per ciò stesso tutto era sotto controllo? Con questi genitori io ho parlato e non ho avuto – né ho – verità da elargire loro.

Nell’articolo che ho scritto citavo un brano di un saggio della preside Irene Baldriga, uscito sul numero di dicembre di Tuttoscuola. Nell’articolo intitolato Droga nella scuola: giù la maschera, riscontravo una visione molto legalitaria, allarmista nei toni, che non faceva nessuna distinzione tra il consumo di cannabis e di altre sostanze. Questo è un passaggio conclusivo:

Sarebbe il caso di indagare sulle inquietanti e sotterranee connessioni che legano il mercato degli stupefacenti, alla violenza negli stadi e alle derive estreme della protesta sociale. È un amalgama esplosivo che si stringe intorno alle scuole fino a stritolarle, coinvolgendo i giovani più soli ed emarginati, quelli potenzialmente a rischio di dipendenze, di plagio o di psicosi. La droga è un male intollerabile che si accompagna alla solitudine e al degrado sociale (ove per degrado non si deve intendere necessariamente il disagio socioeconomico, ma un drammatico sbriciolarsi dei valori identitari della legalità e del rispetto delle regole, per non parlare di quello fondamentale che riguarda il bene dell’integrità e della vita, che interessa tutti gli strati sociali).

Maurizio Cosentino, un altro docente di filosofia e storia al Virgilio, scrive sul suo blog una riflessione molto articolata (potete leggerla per intero qui), che però prende le distanze in maniera esplicita dai colleghi:

I fatti accaduti in questi giorni e in quella che, un tempo, tra i licei romani, era la scuola più democratica, intellettualmente vivace e aperta al confronto, sono un vulnus inflitto a tutto il sistema dell’istruzione e dell’educazione scolastica. Al tempo stesso, da parte dello stato, non rappresentano una conquista significativa della lotta alla criminalità o del contrasto alla diffusione di droghe leggere tra i giovani e nelle scuole. Le modalità con cui si è svolta l’operazione di arresto hanno la parvenza di quelle solite della cattura di un superlatitante o di un pericolosissimo boss. Operazione certamente pianificata con la dovuta collaborazione della dirigenza.

E sugli studenti che chiedevano chiarimenti alla preside:

È un dato oggettivo che non si è trattato di ‘gruppi minoritari’, ‘della minoranza’, di ‘cento studenti’, di ‘esiguo gruppo’ se ci si vuol riferire a chi ha espresso dissenso e preoccupazione per ciò che è accaduto il giorno prima. La folla di studenti che si era prima organizzata in corteo e che, dopo, essendo rimasta assediata – da un lato dai blindati della polizia e dall’altro dallo stesso personale scolastico che ne ha impedito l’ingresso a scuola, sbarrando il portone – aveva chiesto, avendone lo stesso diritto di chi si trovava già dentro la scuola, di poter prender parte a un’assemblea straordinaria, convocata solo lo stesso giorno, a partire dalle ore 11.15 e d’autorità, e che perciò ha avuto luogo per i soli pochi alunni presenti all’interno delle mura dell’edificio. Dentro i buoni, fuori i cattivi. Ecco il messaggio che la dirigenza scolastica in nome della ‘buona scuola’, ha voluto trasmettere.

C’è un passaggio dell’intervento di Cosentino che probabilmente tutti i protagonisti di questa storia non avrebbe difficoltà a condividere:

Qual è il ruolo della scuola, dei docenti, di un’istituzione educativa? Quello di emarginare o quello di recuperare e includere? Questo compito, in un contesto normale, spetterebbe a chi sta più in alto. Il dualismo manicheo si è invece sostituito alla pratica educativa dell’inclusione, del dialogo e del confronto aperto, rispettoso anche con chi la pensa in altro modo e ritiene di dover esprimere una critica costruttiva, nella prassi della dialettica e della democrazia, non della demagogia, del populismo o del paternalismo.

Prendo spunto proprio da queste ultime frasi per lasciare aperto il campo del dibattito. La discussione non riguarda ovviamente né il fatto in sé né il Virgilio, che non è certo l’ombelico del mondo, ma è sicuramente con i suoi 1.400 studenti uno specchio abbastanza rappresentativo della complessità della scuola oggi, della fragilità di quel patto formativo che si crea tra studenti, famiglie e scuola, e della difficoltà di integrare la vitalità di un laboratorio politico come è qualsiasi scuola con il dibattito pubblico che avviene fuori dalle mura scolastiche. Speriamo che anche questi semplici articoli forniscano una buona occasione di confronto.

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