Mark Zuckerberg, il fondatore e attuale presidente di Facebook, ieri, 29 agosto, era a Roma; aveva annunciato questo viaggio qualche giorno prima – si trovava già in Italia di passaggio per il matrimonio di un suo amico, l’amministratore delegato di Spotify, Daniel Ek, sulle rive del lago di Como, e ha deciso di allungare. Era già stato in Italia, in viaggio di nozze e altre volte, ma sempre come privato cittadino, più o meno.
La visita di ieri era diversa: è stato ricevuto come una specie di capo di stato, ha avuto udienza dal papa, un colloquio privato con il presidente del consiglio Matteo Renzi, e ha voluto incontrare la “comunità italiana”, come l’ha definita – ossia i circa trenta milioni di italiani iscritti a Facebook.
A rappresentare questo scambio era stato organizzato un intervento all’università privata Luiss per un’ora, un Q&A, come si dice in inglese: domande e risposte.
In quest’oretta Zuckerberg ha detto che ama Roma, che ha studiato latino, e la civiltà romana, che destinerà mezzo milione di dollari alla Croce rossa per il terremoto nel centro Italia – anche se lì per lì non ha specificato che questi soldi saranno donati sotto forma di pubblicità gratuita su Facebook –, ha fatto delle battutine (“La vera ragione per cui sono a Roma è per cercare dei Pokemon rari”, “Ci sono così tante statue a Roma che durante il viaggio di nozze con mia moglie, nelle foto c’eravamo sempre io, lei e Augusto”), ha detto che voleva parlare della “cultura di Facebook”, ha voluto replicare alle domande che gli hanno rivolto gli studenti della Luiss – “Cosa ne pensi dei fallimenti?”, “Quali sono le tre qualità per raggiungere il top?” – con delle sentenze pseudoispirate del tipo: “Saremo giudicati dalle cose che cambiamo nel mondo, e non dai nostri fallimenti”, “L’importante è fare il meglio che puoi”, “Le grandi società sono fatte da grandi gruppi di persone”, “Bisogna sempre continuare a imparare”.
Per chi vuole vedere tutto l’incontro, qui c’è la registrazione – a essere sinceri, davvero una serie di banalità da retorica motivazionale, a cui non sarebbe interessante nemmeno dare rilievo; se non fosse che Facebook è così presente nelle nostre vite, e un confronto serio e reale con chi ne ha il controllo sarebbe stato utile.
Per esempio, gli si poteva chiedere come mai Facebook nel 2015 ha incassato di pubblicità in Italia 350 milioni di euro ma ha pagato solo 200mila euro di tasse (ossia un’aliquota dello 0,057 per cento) oppure ragionare con lui del funzionamento dell’algoritmo (ieri è uscito questo articolo su come la mancanza di controllo umano possa creare non pochi problemi), del rapporto con i mezzi di informazione eccetera.
L’impressione invece era quella di una visita quasi tutta sotto copyright (Luca De Biase ha raccontato i suoi problemi a postare un’innocua foto), e soprattutto di un’università ridotta a un gruppo di fan, e nelle file in fondo i giornalisti che non potevano fare domande: un enorme spot pubblicitario per Facebook durato un intero giorno.
Zuckerberg sembrava un patrizio romano che visita la Cilicia e parla dell’invenzione dell’anfiteatro. Sarebbe bastato che rimanesse a Roma altre ventiquattr’ore ed è probabile che sarebbe riuscito a venderci il Colosseo, il che – a pensarci bene – è quello che fa ogni giorno.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it