Ho ventun anni. E sono omosessuale. Quando l’ho detto ai miei, la loro reazione è stata di rifiuto perché per loro non posso decidere ora della mia vita, senza conoscere il mondo. Cosa faresti in una situazione del genere?–Emilia
In realtà in una situazione del genere io mi ci sono trovato davvero. Era il 1992 e avevo sedici anni. All’epoca l’omosessualità era più una battuta da bar che una questione di diritti civili, e per i miei genitori fu un duro colpo. Eppure io non ebbi pietà: ero nato gay in una società omofoba e questo era successo a me, non a loro. E se un ragazzino sedicenne era in grado di gestire la situazione, o almeno di tentare di farlo, mi sembrava che ci si potesse aspettare lo stesso da due persone adulte.
Hai fatto bene a parlarne ai tuoi genitori, perché hai fatto il tuo dovere di figlia.
Ora sta a loro prendersi la responsabilità di fare i genitori, e sostenerti. O almeno tentare di farlo. Anche se non sei obbligata a farlo, puoi aiutarli a conoscere il mondo. Spingerli a frequentare associazioni, fargli leggere libri, oppure puoi fare come me: renderli partecipi della tua vita sentimentale, presentargli le ragazze che frequenti nella stessa maniera in cui gli presenteresti un ragazzo.
Non nasconderti e fagli vedere che la tua vita non è una tragedia. Spesso dietro al rifiuto dell’omosessualità di un figlio o di una figlia non c’è vero disprezzo, ma solo delusione, paura, imbarazzo. E il più delle volte l’amore dei genitori è talmente forte che finisce per sconfiggere ogni pregiudizio.
Questa rubrica è stata pubblicata l’18 settembre 2015 a pagina 12 di Internazionale, con il titolo “Amore e pregiudizio”. Compra questo numero | Abbonati
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