Tu e tuo marito siete genitori di tre bambini, ma come rispondi a quelli che in Italia non vi considerano una famiglia? –Mimmo
Prima di Natale mia figlia di otto anni è stata sottoposta a un test da parte del team di supporto della scuola: “Mostra una certa difficoltà nella lettura e nella scrittura, pensiamo possa soffrire di una leggera forma di dislessia o deficit dell’attenzione”. Io ho cercato di non preoccuparmi: parla fluentemente tre lingue, ha una creatività incontenibile ed è adorata da tutti i suoi amici. Leggendo un articolo sugli effetti di questi disturbi sulle bambine, però, ho scoperto che il più insidioso è la perdita di autostima e la conseguente tendenza alla depressione o l’anoressia durante l’adolescenza.
Così una sera, dopo averla messa a letto, mi sono sdraiato accanto a lei e le ho detto: “Tu lo sai che sei una bambina superintelligente, vero?”. “Davvero lo pensi?”, mi ha risposto subito lei, “perché io penso proprio di no. Non sono intelligente a scrivere e non sono intelligente a leggere. I miei compagni sono tutti più bravi di me”.
Mentre mi parlava, due grosse lacrimone le scendevano sulle guance. Io l’ho abbracciata forte e le ho fatto una lunghissima lista dei motivi per cui penso che sia un piccolo genio. E non ho smesso finché non si è addormentata con un sorriso sul volto.
I risultati del test arriveranno a giorni, ma noi ci siamo convinti che anche una leggera forma di dislessia non sarebbe un problema se riusciremo a convincere nostra figlia che è una bambina perfetta così com’è. E a quelli che dubitano che siamo una famiglia, cerchiamo di non pensarci. Anche perché siamo troppo impegnati a essere una famiglia.
Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2016 a pagina 12 di Internazionale, con il titolo “Il giorno dei risultati”. Compra questo numero| Abbonati
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