Molti la considerano la foto di agenzia più famosa e perfettamente composta di tutti i tempi. Il 23 febbraio ha compiuto 70 anni, ma ancora oggi la sua autenticità è messa in discussione.
Era il 1945 quando l’autore, il fotografo dell’Associated Press Joe Rosenthal, si trovava in Giappone per seguire la battaglia di Iwo Jima durante la guerra nel Pacifico, insieme a due fotografi dell’esercito. Quando sentì che alcuni militari della marina statunitense erano saliti sul monte Suribachi, decise di arrampicarsi per vedere cosa stava succedendo.
La vetta era stata raggiunta già da un altro fotografo, il sergente Louis Lowery, che era riuscito a documentare il momento in cui alcuni militari avevano issato una bandiera statunitense in cima alla montagna. La scena era stata circondata da fischi, urla e festeggiamenti e quell’entusiasmo così forte coprì per un attimo la reazione dell’esercito giapponese che stava lanciando colpi d’arma da fuoco vicino alla montagna. Lowery scese in fretta lungo il costone per raggiungere la scena ma inciampò, rompendo la sua macchina fotografica. Fu nella discesa, mentre andava a recuperare un’altra macchina fotografica, che incontrò Rosenthal che stava salendo.
Hal Buell, un ex photoeditor dell’Associated Press, racconta che Lowery disse a Rosenthal che era ormai tardi per salire fino in cima perché la bandiera era stata già issata. Rosenthal decise di proseguire lo stesso. Man mano che saliva riusciva a scorgere la bandiera sempre meglio e finalmente in cima arrivò la sua occasione: alcuni militari stavano issando una seconda bandiera, più grande della prima.
Aveva poco tempo per capire da quale prospettiva scattare, se includere tutte e due le bandiere o tenere solo la seconda e infine scelse di concentrarsi solo su quella ancora da fissare. E fu questa decisione a rendere l’immagine diversa da tutte le altre.
“Non si tratta di una foto costruita. Come ogni fotografo di talento che ha esperienza, Rosenthal è riuscito ad anticipare l’azione e a scattare l’immagine al momento giusto. Un istante subito prima o quello subito dopo e non avrebbe ottenuto la stessa foto”, continua Buell.
Una foto dalla composizione perfetta: la diagonale che taglia l’inquadratura quasi a metà, la piramide composta dai militari che issano la bandiera come se fossero un’unica persona. Lo sfondo chiaro e pulito che permette di concentrare l’attenzione solo sull’azione in primo piano. È proprio il suo essere così iconica ad aver destato molti dubbi sulla sua autenticità.
In realtà la storia era un’altra, racconta Buell, e in pochi la conoscono. Rosenthal arrivato in cima aveva davvero costruito una foto, solo che si trattava di un’altra: quella in cui aveva chiesto ai militari della marina di mettersi in posa davanti alla bandiera già issata.
Quando tutte le foto di Rosenthal arrivarono a San Francisco, i giornali pubblicarono in prima pagina quella con la bandiera che veniva issata. Lowery, che non aveva visto la seconda bandiera, disse che quell’immagine era falsa. Dopo quella dichiarazione qualcuno chiese a Rosenthal se la foto fosse costruita e lui ingenuamente rispose di sì, pensando si riferissero a quella dei militari in posa.
Da quel momento fu troppo tardi per chiarire un malinteso che perseguitò Rosenthal per più di 60 anni, fino alla sua morte avvenuta nel 2006. Infatti, anche dopo la conferenza organizzata a Washington tra alcuni rappresentanti dell’esercito, i giornalisti di Life e dell’Associated Press, in cui Rosenthal raccontò la vicenda e il fraintendimento, la vera storia dietro quella foto per molti rimane ancora sconosciuta.
Ciò nonostante, l’immagine scattata da Rosenthal è diventata il simbolo non ufficiale del corpo dei militari della marina statunitense e della seconda guerra mondiale nel Pacifico. È stata stampata sui francobolli e ad Arlington, in Virginia, è stata trasformata in un memoriale per le vittime della guerra.
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